Quest'estate - per il resto così avara di mostre nella capitale - ha offerto a romani e turisti la bella mostra fotografica di David LaChapelle al Palazzo delle Esposizioni.
La cosa certamente più interessante di questa mostra consiste nel fatto che essa si focalizza sulla produzione più recente del fotografo americano, che è probabilmente quella meno nota e meno presente all'immaginario collettivo.
Se infatti LaChapelle è conosciuto quasi da tutti per le fotografie di celebrità trasformate in icone della cultura pop (cosa che spiega la sintonia con Andy Warhol) e di figure umane sfacciate e kitsch, in questa esposizione trovano collocazione i suoi lavori in cui la figura umana è praticamente assente, lavori che sono venuti tutti dopo la serie After the deluge, che si compone di fotografie che rappresentano vari contesti e situazioni devastati da alluvioni e sismi, seguite al pezzo principale Deluge, che è una rivisitazione in chiave LaChapelliana dell'affresco michelangiolesco della Cappella Sistina.
Da qui prende le mosse il percorso espositivo che ci conduce attraverso diversi serie di lavori del fotografo: Negative currency (banconote in negativo), The crash (auto con le lamiere accartocciate, parzialmente in tre dimensioni), Earth laughs in flowers (nature morte con fiori e altri oggetti), Still life (statue distrutte del museo delle cere), Gas (stazioni di benzina nelle foreste), Land scape (metropoli futuristiche), Jesus is my homeboy (Gesù ritratto in una quotidianità contemporanea, parzialmente ambigua), Aristocracy (battaglia di aerei in cieli con nuvole dai colori shocking). Non manca - nella parte finale del percorso - qualche lavoro precedente qui portato soprattutto a titolo di confronto.
A mio parere, rispetto ai lavori più noti di LaChapelle che puntano a scandalizzare lo spettatore e a catturarne l'attenzione con un pugno in faccia, questa produzione più recente - pur mantenendo fermi alcuni elementi della poetica e dell'estetica del fotografo - operano su un piano di comunicazione più sottile, costringendo lo spettatore a cercare elementi dirompenti in fotografie all'apparenza molto pacifiche. È questo per esempio il caso della serie delle nature morte con fiori, che si ispirano agli esempi classici della storia dell'arte e all'apparenza non sono molto dissimili dai modelli a cui si ispirano, se non fosse che i fiori sono in parte appassiti e gli oggetti intorno provengono da una contemporaneità ostentata e disturbante. Personalmente ho trovato bellissima la serie dedicata alle metropoli futuristiche (Land scape), foto che viste da lontano fanno pensare a iperrealistici mix di metropoli supermoderne e grossi impianti industriali, e che poi - guardate da vicino - si rivelano modellini costruiti con materiali di riciclo (lattine, cannucce, stuzzicadenti, bigodini ecc.), ma fotografati in contesti reali.
I video proposti al termine della mostra (peccato solo in inglese e con un audio pessimo) danno un'idea del metodo di lavoro di LaChapelle e in particolare del modo in cui sono state realizzate le metropoli futuristiche.
Come afferma il curatore della mostra, Gianni Mercurio, LaChapelle non esprime giudizi morali, si "limita" a portare nelle foto delle idee e dei punti di vista lasciando allo spettatore la libertà e l'onere di interpretare e valutare secondo la propria sensibilità.
Una mostra forse non perfettamente curata in tutti i dettagli (forse anche con un budget non stratosferico a disposizione) che, però, contribuisce a far luce su un LaChapelle molto interessante ma poco conosciuto.
Voto: 3,5/5
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