Questa fine di agosto cinematografica ci regala per tre giorni un nuovo lavoro firmato dallo studio Ghibli, anche se non dal maestro Miyazaki.
Si tratta di Quando c'era Marnie, di Hiromasa Yonebayashi, il regista di Arrietty.
La sceneggiatura è l'adattamento del romanzo omonimo di Joan G. Robinson e racconta la storia della dodicenne Anna, una pre-adolescente insicura e sociopatica, un po' tomboy, che vive con una tutrice (che chiama zietta) e che soffre d'asma, motivo per cui viene mandata a stare per un periodo da una coppia anziana che abita a Hokkaido in una casa sul mare.
Durante questa permanenza, Anna sarà incuriosita dalla casa in fondo alla palude, apparentemente abbandonata, dove invece incontrerà Marnie, una ragazza bionda della sua età con cui stringerà un'amicizia esclusiva e particolare.
Anna è affascinata da questa ragazza che apparentemente è il suo naturale complemento: femminile, bionda, estroversa, affettuosa e soprattutto misteriosa, come se arrivasse direttamente da un sogno o da un tempo lontano.
Man mano che l'amicizia si farà più stretta, Anna non solo si troverà a fare i conti con le gioie e i dolori dei sentimenti forti, ma attraverso questo vero e proprio percorso di formazione scoprirà anche la storia di Marnie e il segreto che nasconde, e che le permetterà anche di comprendere se stessa e la propria storia.
Quando c'era Marnie si presenta come il riversamento di un contenuto narrativo dai tratti fortemente occidentali in un contenitore genuinamente giapponese sia da un punto di vista estetico sia dal punto di vista delle tradizioni culturali, nonché - e soprattutto - delle sensibilità rappresentate. Al punto tale che a volte un pubblico di cultura occidentale può fare fatica a interpretare certi passaggi per la difficoltà di ricondurre reazioni e sentimenti alle categorie concettuali cui siamo più abituati e che sono certamente più schematiche di quelle giapponesi.
Nel complesso si tratta di un classico romanzo di formazione all'interno di una confezione che si colloca a metà strada tra il fantasy e le storie di fantasmi. Ma l'imprevedibilità giapponese e la libertà concettuale dei creatori di anime conferiscono a questo prodotto - altrimenti un po' scontato per quanto esteticamente bellissimo - un'originalità e un'aura di mistero, nonché un umorismo, capaci di lasciare lo spettatore occidentale stupito e positivamente disorientato.
L'assenza della mano di Miyazaki si avverte, ma l'operazione di Yonebayashi è certamente all'altezza dei migliori prodotti animati giapponesi.
Voto: 3,5/5
Nessun commento:
Posta un commento
Lascia qui un tuo commento... Se non hai un account Google o non sei iscritto al blog, lascialo come Anonimo (e se vuoi metti il tuo nome)!