Non era la mia prima volta a un concerto di Neil Halstead. L'avevo visto e ascoltato al Circolo degli artisti circa un anno fa. E dunque sapevo cosa mi aspettava.
Ma non volevo perdermi questa seconda occasione, innanzitutto perché ascoltare Halstead dal vivo è sempre un'esperienza di grande bellezza, in secondo luogo perché volevo sperimentare la Church session della rassegna Unplugged in Monti (che di solito si svolge al Black Market e che invece in questa circostanza viene ospitata dalla Chiesa Evangelica Metodista di via XX settembre).
Ovviamente (come spesso mi accade nelle giornate in cui decido di andare a dei concerti) ha piovuto tutto il giorno e sono arrivata al concerto piuttosto zuppa. Però, ho trovato un bel posto nel banco della prima fila da dove ho potuto scatenarmi con le foto.
La location è parecchio suggestiva, nonché acusticamente molto efficace. La chiesa è piena in ogni ordine di posto e - oltre a molta parte di gioventù romana radical chic - ci sono persone di età diverse e con facce diverse. Tutte attentissime e silenziosissime nell'ascolto dei due artisti che si esibiranno sul palco.
Il primo è un ragazzone parecchio spilungone che arriva dal Kentucky, Daniel Martin Moore, e che ci porta subito nell'atmosfera della serata con la sua chitarra e la sua bellissima voce. Verso la fine del suo opening act si sposta al pianoforte e - di spalle a tutta la sala - ci offre un singolo tratto dal suo ultimo album, Golden age. Infine, scende dal palco e senza fili (davvero unplugged!) ci canta una ballata del Kentucky che dice essere una delle preferite di sua nonna.
Dopo la delicatezza di Daniel Martin Moore sale sul palco Neil Halstead, meno barbuto dell'ultima volta, con dei pantaloni skinny molto alla moda e la solita giacca sulla maglietta. Ormai posso dire di essergli quasi affezionata, come fosse uno di famiglia.
Ovviamente, tutto dipende dalla sua musica. L'album Out of tune dei Mojave 3 (una delle formazioni, oltre agli Slowdive, di cui Neil ha fatto parte) è uno dei miei preferiti nonché più "long-lasting", e il suo ultimo da solista, Palindrome Hunches, è una delle cose più belle che io abbia ascoltato negli ultimi anni.
Quando, seduto sul suo sgabello, Neil comincia a suonare l'atmosfera è magica. Il silenzio è assoluto, lui appare particolarmente ispirato e trasmette questo senso di armonia a tutti. Non a caso, rispetto al suo solito, tende a parlare di meno, si limita a dire numerosi grazie. Il top dal mio punto di vista lo raggiunge quando canta Digging shelters. Da brividi.
Purtroppo però a un certo punto, su uno dei pezzi, dimentica le parole e deve interrompersi. Ovviamente il pubblico lo incoraggia e Neil la butta sul ridere (dice che ormai questa cosa che lui si dimentica le parole delle sue canzoni è diventata una barzelletta tra i suoi amici cantanti), ma l'atmosfera dell'inizio è ormai irrimediabilmente rovinata. Il che non vuol dire che il concerto sia rovinato.
Neil ci appare più umano, ora chiacchiera di più con il pubblico, ci parla del fatto che è la seconda volta che viene a Roma, ma la prima che riesce a fare qualche giro. Ci dice che è andato alla Cappella Sistina con la sua fidanzata e lì ha pensato che il pavimento della cappella è bellissimo. E cose di questo tipo.
Adesso alterna canzoni con la sola chitarra ad altre con chitarra e armonica da bocca. La musicalità e la limpidezza del suono restano incantevoli. Si fa suggerire dal pubblico qualche canzone che vorremmo ascoltare e così arriva anche un'altra delle mie canzoni preferite, Hey, daydreamer. Dopo almeno un'ora di concerto ci saluta e va verso la sacrestia, ma il pubblico lo chiama con applausi e fischi di approvazione, cosicché torna sul palco per deliziarci ancora con qualche canzone.
Per quanto mi riguarda, esco soddisfatta e in pace col mondo. E adesso non piove neppure più, e io porto a casa anche il bellissimo poster dedicato al concerto da Mynameisbri (aka Sabrina Gabrielli). Anzi ora che ne ho un certo numero dovrò decidermi a farli incorniciare e ad appenderli da qualche parte.
Voto: 4/5
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