Ghost world / Daniel Clowes. Seattle: Fantagraphic Books, 1998.
Mi avevano fatto notare che nelle mie letture di graphic novels mi mancava un vero e proprio classico del genere, Ghost world di Daniel Clowes. E così l’ho comprato in lingua originale ed eccomi qui a commentarlo.
L’impatto – innanzitutto dal punto di vista linguistico e in secondo luogo dal punto di vista narrativo – non è stato semplicissimo.
Il volume si articola infatti in capitoli che si configurano quasi come episodi in sé conchiusi, ma esiste un filo narrativo che li unisce tutti insieme, richiamando personaggi ed eventi citati nei capitoli precedenti. Il linguaggio è esemplato su quello degli adolescenti e dunque si presenta a tratti peculiare e gergale, ma nello stesso tempo comunica una forte sensazione di realismo.
Le protagoniste sono Enid e Rebecca, due adolescenti alle soglie del college, molto amiche ma anche molto diverse: Enid è anticonvenzionale, cinica e inquieta, Rebecca è più timida e insicura, in fondo più tradizionale.
Enid e Rebecca si divertono ad andare in giro per le strade della loro città (totalmente anonima), frequentano fast food e negozi altrettanto anonimi. Parlano di quello che gli succede, degli strani personaggi che incontrano o che in qualche modo vengono in contatto con la loro vita, si costruiscono – come spesso gli adolescenti fanno – un proprio universo emotivo e di pensieri non sempre facile da interpretare.
In questo ghost world in cui spesso solo Enid e Rebecca si comprendono veramente, le due amiche dovranno affrontare il passaggio alla vita adulta e le nuove sfide che questa pone alla loro amicizia: le scelte di studio, il possibile trasferimento in un’altra città, l’amore per un ragazzo.
Le loro strade finiranno tristemente per divergere e le responsabilità della vita adulta spazzeranno via i discorsi bizzarri, gli scherzi, il desiderio di essere originali e controcorrente a tutti i costi.
La lettura di questo graphic novel lascia un po’ spiazzati, con un vago senso di straniamento, che alla fine si traduce in una qualche sensazione di tristezza, perché da un lato non necessariamente ci si riconosce nelle protagoniste (lontane da me temporalmente e culturalmente), dall’altro inevitabilmente ci si identifica in alcuni sentimenti universali che trasversalmente accomunano gli adolescenti di tutte le epoche e di tutti i luoghi.
Alla fine un po’ ci sentiamo presi in giro da Daniel Clowes, e un po’ anche intimamente capiti.
Voto: 3/5
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