Michael Haneke ci ha abituati ad uno stile cinematografico che non ha paura di rappresentare situazioni, sentimenti, tratti di umanità che tendiamo a rimuovere dalla nostra vista e dei nostri pensieri. La nostra percezione del cinema come spazio di evasione o esperienza catartica tendenzialmente ci fa rifiutare l'approccio - in qualche modo estremo - di Haneke.
Ed effettivamente bisogna essere preparati a vedere un suo film, sapere cosa ci aspetta, dunque scegliere o meno di vederlo.
In Amour il tema portato sullo schermo da Haneke è la vecchiaia, non quella edulcorata che di solito i mezzi di comunicazione di massa ci propongono, fatta di vecchietti arzilli che giocano con i nipoti e che vanno a ballare, ma quella purtroppo molto reale del decadimento fisico, della malattia, della perdita della dignità, della solitudine, della morte.
Nel ritmo volutamente lentissimo che rispecchia i movimenti di Anne (Emmanuelle Riva) e Georges (Jean-Louis Trintignant), negli ambienti volutamente rappresentati in maniera angusta così come sono percepiti dai protagonisti, nella totale assenza di un mondo esterno - dal quale i due anziani si ritirano, nulla ci viene risparmiato della sofferenza fisica e psicologica della vecchiaia.
Paradossalmente, il fatto che questo decadimento riguardi una coppia che si ama ancora molto, dopo aver trascorso una vita insieme e aver condiviso gioie e passioni, accentua - anziché ridurre - la sofferenza. Perché il coinvolgimento emotivo rende intollerabile per chi è malato l'idea di diventare un peso per l'altro e per chi sta meglio assistere impotente alla sofferenza e perdere a poco a poco la persona che si ama.
In questo groviglio inestricabile non c'è via d'uscita: nulla può il mondo esterno. Non la figlia Eva (Isabelle Huppert) che non riesce ad accettare razionalmente la malattia della madre e la chiusura della coppia nel vivere il proprio dolore, non le persone che per affetto o per professione danno una mano alla coppia per affrontare le questioni pratiche, ma gli sono estranei nei sentimenti.
Come leggere dunque l'abbraccio mortale con cui si chiude questa storia? Come una resa, un atto d'amore, un gesto egoistico? Probabilmente non esiste comprensione al di fuori dei confini di quella coppia, di quel letto, di quella casa.
A me il film ha profondamente emozionato. Il groppo allo stomaco mi è spesso salito su nel tentativo di sciogliersi in lacrima, in un misto di rabbia, tenerezza, impotenza, ineluttabilità.
Dal giorno dopo torneremo a rimuovere il pensiero della vecchiaia e di quello che potrebbe attenderci (sperando che il destino sia clemente), in una lotta quotidiana con i nostri pensieri che il trascorrere del tempo rende sempre più impari.
Voto: 4/5
Haneke si è confermato un regista superbo. La commozione e il dolore che provoca con questo film, con la realtà in tutta la sua lentezza come protagonista, ne è la dimostrazione.
RispondiEliminaanche per me un film indimenticabile, e vedere quei vecchietti un tempo forti ricchi e famosi alle prese con "a livella" di Totò è emozionante.
RispondiEliminaCinema essenziale e profondo.