Durante la nostra permanenza a Lesvos, approfittiamo della vicinanza con la Turchia (siamo a un'ora e mezza di traghetto) per fare un salto sulla costa di fronte a noi. Ci spiegano che, per motivi di frontiera e di accordi tra Grecia e Turchia, l'unico porto da cui è garantito questo collegamento è quello di Mytilene, sebbene Molyvos sia in realtà addirittura più vicina alla Turchia (secondo qualcuno dal Molyvos in alcune giornate di vento favorevole si sentirebbe il rumore delle motorette e dei clacson delle auto turche).
E così facciamo il biglietto del traghetto e il giovedì prima di partire si va in Turchia, ad Ayvalik (l'alternativa sarebbe stata Dikili), dove c'è il bazar settimanale.
Vedere Mytilene e poi tutta la costa est dell'isola dal mare è molto suggestivo e ci permette di apprezzare ancora una volta la bellezza del posto che abbiamo scelto per le nostre vacanze. Dopo un'oretta si vede terra e pensiamo di essere arrivate, ma in realtà è solo la prima di una miriade di isole che si sviluppano davanti a questo tratto di costa turca (il cosiddetto ecatonneso, le cento isole).
Dopo un'altra mezz'oretta di slalom tra le isole, ecco Ayvalik, collegata da un ponte alla vicinissima isola di Cunda, coperta di case vacanze.
Messo piede nel porto, la ressa al controllo passaporti è nella migliore tradizione dei paesi con una gestione un po' familiare e dei popoli incapaci di fare le file. Comunque sopravviviamo e ci avviamo a piedi verso il bazar, che capiamo essere a circa 1 km (ena kilometre), seguendo tutto il resto dei passeggeri della nave che evidentemente ha la nostra stessa meta.
Quando arriviamo in zona mercato (dopo aver visto un tot di moschee lungo il cammino) il delirio è assoluto e noi abbiamo la reazione tipica di chi arriva in un posto sconosciuto e che in qualche modo avverte come un po' pericoloso. Ci teniamo strette le nostre borse e giriamo nelle aree periferiche del mercato, perché non abbiamo il coraggio di buttarci nella mischia. Al di fuori del mercato il panorama cittadino è un po' degradato, ma qua e là si apre una porta su un forno da cui escono garzoni con enormi teglie di dolci. E questo ci mette di buonumore.
Tanto che finalmente decidiamo di infilarci in una strada del mercato e dopo pochissimi minuti siamo in un negozio di stoffe e biancheria, dove adocchiamo dei bellissimi teli da bagno, esattamente ciò che cercavamo dopo che io avevo perso il mio bellissimo telo in cotone comprato in Francia all'Ile d'Yeu. Usciamo dal negozio almeno un'ora più tardi, dopo che ci hanno offerto un'aranciata e abbiamo comprato 4 teli e una enorme tovaglia ricamata per la cifra di 30 euro!
Ora siamo definitivamente di buonumore. Entriamo in un negozio di valigie, perché il nostro bagaglio per il rientro in Italia si è fatto ingestibile e così compriamo una borsa cinese espandibile con le ruote. Facciamo conoscenza con il commesso che parla l'inglese perfettamente e ci dà una serie di suggerimenti, tipo: forse dobbiamo cambiare un po' di euro perché difficilmente potremo comprare un dolce con gli euro, ma in tutta Ayvalik non c'è un'agenzia di cambio e quindi ci conviene andare dal gioielliere; ci mostra un paio di posti buoni se vogliamo mangiare le polpette e del buon cibo turco; ci accompagna alle due migliori (secondo lui) pasticcerie di Ayvalik.
Improvvisamente Ayvalik è diventato un posto da scoprire e questi turchi cominciano ad esserci simpatici. Decidiamo che forse possiamo provare a fare un bagno sulla costa turca dell'Egeo e ci incamminiamo a piedi, ma dopo un paio di km non vediamo spiagge. Per fortuna c'è un punto informazioni turistiche, dove una ragazza gentilissima ci dà una cartina e ci dice qual è la spiaggia più bella dove andare. Basta prendere un autobus dall'altra parte della strada.
Ringraziamo e usciamo, ma di fronte non c'è alcuna fermata. Facciamo qualche metro avanti e indietro, ma non c'è alcuna fermata. Abbiamo capito. Proviamo ad alzare un braccio quando passa l'autobus. Ne passa uno, alziamo il braccio un po' in ritardo e... si fermaaaa!
A bordo ci sono due ragazzetti che controllano salite e discese e che stanno in piedi sulle porte aperte. Il biglietto costa due lire (turche ovviamente!). Non abbiamo spiccioli sufficienti, un ragazzo ci offre quello che ci manca (ma noi non capiamo e rifiutiamo un po' sdegnate) e quindi cambiamo la nostra cartamoneta.
Attraversiamo quartieri residenziali e zone periferiche, dove delle case che a noi sembrano popolari ci colpiscono perché hanno tutte il caminetto sul balcone e l'immancabile parabola.
Dove scendere? Boh! Abbiamo provato a chiedere ai controllori, ma chissà se ci siamo capiti... A un certo punto ci dicono che è la nostra fermata. In lontananza si vede qualcosa che assomiglia a una spiaggia! Sì, è la spiaggiona di Sarimsakli, proprio quella che avevamo puntato. Il panorama dietro la spiaggia non è meraviglioso, ma la spiaggia è bellissima. C'è pochissima gente, l'acqua è verde in un modo diverso dalla Grecia e anche se ci sono zone attrezzate con gli ombrelloni, questi sono arretrati per lasciare spazio a chi si vuole mettere in spiaggia senza prendere ombrellone e sedie a noleggio.
Bagno nelle acque gelide dell'Egeo turco e si torna verso la non-fermata (è un po' come il non-compleanno!) dell'autobus. A un angolo fermiamo il primo che passa e che ci porta di nuovo verso la zona del bazar.
A questo punto abbiamo fame. Prima doppia porzione di polpette (kofta) con pilaf sedute al tavolino del posto che ci era stato segnalato dal venditore di valigie, che si trova nel patio coperto con i teli, poi dolce di semolino (revani, ma forse i turchi lo chiamano in un altro modo) ad una delle pasticcerie adocchiate in precedenza. Compriamo a portar via degli altri dolcini col miele e la frutta secca.
Nel frattempo individuiamo un omino che gira per le strade con un vassoio su cui ci sono dei bicchierini di thè. Lo seguiamo per capire da dove provenga. Viene da quella che sembra una casa privata (e forse lo è) dove si possono comprare cose da bere, ma in realtà nessuno va lì a ordinarle né a riportare i bicchieri. Tutti conoscono l'omino che dunque va in giro a consegnare e a ritirare. Guardandoci intorno notiamo che ci sono bicchieri nei posti più impensati e che quelli dell'omino hanno un piattino particolare e riconoscibile rispetto a quelli presumibilmente di altri omini!
Noi ovviamente andiamo lì ad ordinare il thè (e ci mettiamo un po' a farci capire) e poi riportiamo i bicchieri ad un esterrefatto ragazzino che non capisce perché li stiamo portando noi.
Il thè ci fa venire voglia di pasticceria secca e così proviamo anche l'altra pasticceria dove compriamo un po' di biscotti col sesamo (buonissimi!).
Le lire turche che abbiamo cambiato sono quasi finite. Ce ne avanzano a sufficienza per comprare una pietra pomice da uno dei tanti ambulanti. Non ci bastano invece per comprare una saponetta sulla strada verso il traghetto.
Nel viaggio di ritorno verso Mytilene ci portiamo dietro il ricordo dei vecchietti che vendono i fichi per strada, del lustrascarpe ambulante, delle donne con i loro vestiti colorati, dell'altoparlante che diffonde il canto del muezzin, del caos ordinato, dell'antico e del moderno, della vitalità che questa Turchia ci ha trasmesso.
Dopo questo assaggio, ci è venuta fame di Turchia. Ci torneremo. Presto. Molto presto.
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