Non ricordavo quasi nulla dell'omonimo film di Pedro Almodovar.
Certamente si tratta di uno dei film del regista spagnolo ad aver maggiormente incontrato la mia sensibilità, nonostante non ami quella sua tendenza a raccontare storie sempre un po' sopra le righe e con protagonisti continuamente in bilico tra realismo ed eccesso.
Di solito le operazioni di trasposizione di sceneggiature cinematografiche a teatro mi lasciano piuttosto perplessa, perché il prodotto finale non riesce a scrollarsi di dosso un ritmo narrativo che finisce per risultare inappropriato.
Nonostante tutto, ho comprato a scatola chiusa i biglietti per questa versione teatrale di Tutto su mia madre, perché considero la presenza di Elisabetta Pozzi una garanzia quasi infallibile di qualità.
Ebbene, non me ne sono pentita.
Al centro della storia Manuela (Elisabetta Pozzi), che alla morte del figlio Esteban, decide di lasciare Madrid e ritornare a Barcellona per esaudire l'ultimo desiderio del figlio, ossia conoscere la verità su suo padre.
A Barcellona Manuela rivedrà vecchie amiche, come il trans Agrado (Eva Robin's), e incrocerà il percorso di altre donne, l'ingenua e generosa suor Rosa, la famosa attrice Huma Rojo (Alvia Reale) e la sua giovane amante Nina, in un crescente groviglio di sentimenti che si scioglierà solo nel finale in quella che si presenta come una vera e propria celebrazione della forza delle donne.
L'adattamento teatrale di Samuel Adamson e la regia di Leo Muscato, a mio parere, arricchiscono questa storia, nella misura in cui la asciugano di qualche eccesso tipicamente almodovariano, senza tradirne lo spirito (si veda qui una galleria delle foto di scena).
Così, la scenografia di Antonio Panzuto non può - e probabilmente non vuole - riprodurre la fantasmagoria di colori del film, ma comunica con altrettanta forza grazie alle variazioni cromatiche dei disegni astratti proiettati sullo sfondo.
Le attrici, che - come nel film di Almodovar - occupano integralmente la scena oscurando le poche figure maschili presenti sul palco, pur restando volutamente smisurate (nel senso letterale di "fuori misura") rispetto a un registro strettamente realistico, camminano sicure sul sottile filo teso tra dramma e commedia, ricche di vitalità e di gioia e, al contempo, sovrabbondanti di pathos e profondità di dolore. Elisabetta Pozzi ci regala una Manuela intensa, ironica, forte, generosa, dura, dolce, in una parola una donna vera, con tutta la sua complessità e le mille possibili sfaccettature della sua umanità. Eva Robin's riesce a restituirci la grazia e la sovrabbondanza del personaggio del trans Agrado, permettendoci di comprenderne - ad ogni entrata in scena - l'intelligenza, il cuore, la sofferenza, la voglia di vivere.
Più di tutto, però, mi sono piaciute la fitta tramatura di rimandi letterari e testuali che tiene insieme l'intero spettacolo, nonché la forte caratterizzazione teatrale e metateatrale della narrazione. Com'è noto, la pièce teatrale di Tennessee Williams, Un tram chiamato desiderio ha un ruolo importante in questa storia, non solo perché intorno e dentro il teatro in cui si rappresenta lo spettacolo si verificano molti dei suoi episodi chiave, ma anche perché alcuni dialoghi di Williams fanno da contrappunto e da sostituto al dialogo tra i personaggi. Questa rappresentazione nella rappresentazione consente inoltre al regista di giocare con gli spettatori, facendoli passare continuamente (e fisicamente grazie ad un arguto allestimento scenico) dal ruolo di pubblico (della storia principale e/o di quella che i protagonisti mettono in scena), cui i protagonisti si rivolgono spesso direttamente, al ruolo di parti in causa, chiamati a osservare il dietro le quinte, a partecipare e a testimoniare di quello che avviene dietro la rappresentazione.
Non a caso alla fine delle repliche di Un tram chiamato desiderio si compiono anche i destini dei protagonisti, in questo inestricabile rapporto a doppio filo che sembra legare realtà e finzione. Ma anche lo scioglimento del pathos è affidato ancora una volta a un testo teatrale, quello di cui l'attrice Huma Rojo ha deciso di accettare il ruolo principale e di cui sarà chiamata a recitare un passo a conclusione della storia, Nozze di sangue di Garcia Lorca.
In mezzo, a fare da collante testuale, il diario del giovane Esteban che la madre Manuela porta sempre con sé e di cui legge qua e là dei pezzi.
Insomma, quella di Adamson è un'opera nuova - non soltanto una trasposizione -, in quanto utilizza le potenzialità del linguaggio teatrale, i rimandi testuali e l'artificio della metarappresentazione per conferire alle tematiche almodovariane che conosciamo (l'identità di genere, il rapporto maschile/femminile, la coscienza di sé) un respiro forse ancora più ampio e universale, spingendoci a riflettere sul nostro ruolo nel limbo incerto tra realtà e finzione (spettatori o parti in causa?) e a considerare come nostri le incertezze, i dubbi, gli interrogativi, i sensi di colpa, le grandezze e le piccolezze dei personaggi che si muovono sul palco.
Tutti, in fondo, ci muoviamo sul grande palcoscenico della vita e nessuno di noi si può chiamare fuori dal coro di quell'umanità complessa che Adamson porta in scena. Forse solo in questo modo possiamo accettare di sospendere il giudizio. E capire dall'interno.
Voto: 4/5
Il trailer dello spettacolo
Elisabetta Pozzi parla di sua madre e della madre ideale
Nessun commento:
Posta un commento
Lascia qui un tuo commento... Se non hai un account Google o non sei iscritto al blog, lascialo come Anonimo (e se vuoi metti il tuo nome)!