Arrivo da un'intensa due giorni londinese, con base nell'East End. La scusa (ma neanche tanto!) era quella di andare a verificare - a distanza di 4-5 anni di distanza dalla mia prima visita - lo stato di salute delle biblioteche pubbliche che sono state realizzate in questa zona della città e che si chiamano Idea Stores. Ma di questo parlerò in altra sede...
L'East End è probabilmente una delle zone meno turistiche di Londra, area da sempre ad alto tasso di immigrazione (prima gli Irlandesi, poi gli Ebrei, oggi soprattutto Bengalesi), zona prevalentemente popolare e operaia, con una densità urbana decisamente più elevata rispetto agli standard della città.
Oggi, l'East End è una chiara esemplificazione dei processi di trasformazione e di rinnovamento continuo che le città metropolitane stanno vivendo, per effetto principalmente dei movimenti dei gruppi sociali. Qui, infatti, da un po' di anni a questa parte hanno cominciato a spostarsi molti giovani in cerca di un'area della città meno cara e di un'atmosfera più veracemente londinese, nonché affascinati dal clima multietnico e dalla voglia di riscatto che sembra attraversare questi quartieri.
Sono nati così piccoli negozietti alternativi, sale da te, rivenditori di prodotti biologici; i pub tradizionali sono stati rilevati da giovani pieni di idee, le strade si sono popolate anche di sera, lo squallore ha cominciato a trasformarsi in accogliente semplicità.
Tutt'intorno continuano a vivere e a prosperare le contraddizioni di questa città (che sono anche la sua ricchezza): case popolari insieme a bellissime case vittoriane e georgiane, sottopassi squallidi insieme a parchi verdissimi, atmosfera da casbah insieme a rarefatti conciliaboli di giovani su biciclette di design.
Il Broadway Market (al confine tra le zone di Hackney e Whitechapel) è la sintesi del rinnovamento di quest'area, perché in esso trovano posto i cibi e i dolci tradizionali fatti come una volta, le verdure biologiche, i cibi del mondo, i prodotti ecologici. Non più di una cinquantina di bancarelle che sembrano però essere state scelte con estrema cura e rispondere tutte alla stessa "filosofia".
Il rischio è che possa risultare difficile conservare quell'equilibrio prezioso che attualmente l'East End sembra vivere (gente giovane e carina, ma non troppo fighetta e trendy; negozi, caffè e pub certamente di gusto, ma non invadenti e dissonanti; prezzi in aumento ma ancora molto competitivi rispetto al resto della città) e che dunque l'East End diventi la nuova frontiera della Londra alla moda, snaturandone l'anima più vera, togliendo autenticità alle sue manifestazioni, introducendo artificiosità nelle dinamiche.
Ho purtroppo paura che tutto ciò accadrà, perché è nelle cose. Bene esserci stati prima.
Certo, però, non si può mica andare a Londra senza una puntatina nel centro e soprattutto senza andare a vedere un musical!
E quindi, alla modica cifra di quasi 100 euro (!), andiamo a vedere la versione londinese (dopo, per me, quella newyorkese) di Mamma mia! al Prince of Wales Theatre vicino a Leicester Square. Lo spettacolo è perfettamente in linea con le aspettative, ma certo - dopo aver visto la performance newyorkese - capisco che questi musical possono raggiungere livelli di standardizzazione veramente elevati.
Cosicché non è davvero più la bravura e la simpatia dell'attore, bensì la rigidità dei ruoli che impone esattamente certi tipi di gestualità e di espressioni. Insomma, mi diverto di meno della prima volta. In questo caso, il maggior divertimento diventa il pubblico, visto che come è accaduto a suo tempo per il Rocky Horror Picture Show, anche per Mamma mia! (a distanza di oltre 10 anni dalla sua prima programmazione) la gente comincia a partecipare, cantando ad alta voce e riproducendo le coreografie del palco. Forse sarebbe ora di organizzare delle performance che prevedano esplicitamente il diretto coinvolgimento del pubblico, per offrire a tutti coloro che ormai conoscono a memoria il musical la possibilità di divertirsi per davvero.
Dal mondo dei musical passiamo a un altro mondo tipicamente londinese, quello dei musei pubblici gratuiti (!). Attraversiamo il Tamigi per raggiungere la Southbank (altra zona in piena rinascita) e visitare la Tate Modern, edificio di archeologia industriale (con un'altissima ciminiera) ristrutturato per ospitare una importante collezione di arte contemporanea e mostre temporanee (in questo periodo, quella su Gauguin).
Ci sorprende vedere che i piani sono organizzati per temi (non per periodi, per tipologia di opere, per autori o per correnti), che ciascuna opera è brevemente ed efficacemente descritta, che di tanto in tanto vengono forniti brevi approfondimenti di contesto, gradevolissimi da leggere, che ad ogni piano ci sono aree per far giocare i bambini sul tema dell'arte, zone per riposare e consultare cataloghi a stampa delle opere degli autori in mostra, sediolini liberamente utilizzabili per rendere la visita più efficace e meno stancante.
La breve escursione londinese finisce in un pub dove il menu è equamente diviso tra piatti orientali e britannici e noi prendiamo un buonissimo fish and chips e un altrettanto ottimo riso e pollo al curry piccante, innaffiati entrambi dall'immancabile birra.
Che dire? A me pare che, nonostante tutto, la buona, vecchia, cara Inghilterra abbia ancora qualcosa da insegnarci in termini di civiltà.
Capisco che bisognerebbe viverci per giudicare appieno. Ma, che ne so, io di solito annuso l'aria, mi guardo intorno, verifico possibili sintonie. E in questo caso - sarà anche che c'era un bellissimo sole (o sarà forse che affacciandomi dalla finestra della camera d'albergo vedevo un gazometro che mi ricordava tanto la mia vita romana) -, ma alla fine ne ho riportato indietro un feeling positivo e una gran voglia di ritornarci. Che non è poco.
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