Sto facendo un puzzle.
Raffigura la Notte stellata di Van Gogh, il dipinto che in assoluto di più mi ha colpito nella mia visita newyorkese al MoMA.
Prima di partire per Bruxelles mi ero messa in testa che avrei comprato questo puzzle e che una volta finito l'avrei appeso alle pareti della mia nuova casa.
Ebbene. Ho dovuto rinunciare a questo progetto che non sapevo essere così ambizioso. Qui accanto vedete a che punto sono dopo tre mesi. Il nuovo obiettivo è diventato finirlo prima della partenza e riuscire a trasportarlo a casa senza smontarlo (con un accrocco che ho pagato più del puzzle!). Certamente, si sta rivelando il puzzle più difficile che io abbia mai affrontato (e ne ho fatti diversi!), ma anche il più intrigante.
Mi sorprende il mio rapporto con i puzzle. Apparentemente sono quanto di più antitetico a me possa esistere sulla faccia della terra. Certo, la sua riuscita dipende dall'impegno e dalla bravura, ma soprattutto dalla pazienza e dalla capacità di accettare le sue ineluttabili regole.
Pazienza? Parola assente dal mio personale vocabolario, dove invece la fanno da padrone impulsività, attivismo, movimento, accelerazione, costante proiezione sul futuro.
La dinamica relazionale che il puzzle mi costringe a intrattenere col tempo mi affascina.
Entrare nella logica del puzzle richiede una fase di attesa attiva, significa entrarci in sintonia, fare attenzione ai particolari, non stancarsi di provare e riprovare, dedicare del tempo ai "preliminari".
Anche uscire dal puzzle non si può realmente decidere in autonomia. Infatti, arriverà sempre, immancabilmente, un momento in cui per quanto ci si sforzi non si riuscirà a incastrare neppure una tessera. Inutile, dunque, fare nottata e insistere. Meglio aspettare un momento migliore.
La gioia che dà vedere l'immagine formarsi lentissimamente sotto i propri occhi è assolutamente unica, così come sfiorare con le mani aperte la superficie sempre più ampia che si va componendo è un piacere fisico di rara intensità; è invece quasi del tutto effimera (ma fantasticamente infantile!) la felicità che nasce dal collocare una tessera, subito superata dalla voglia di metterne un'altra. In fondo, anche la soddisfazione di completare un puzzle, per quanto grande, è destinata ad essere rapidamente rimpiazzata dal desiderio di una nuova sfida.
Il puzzle per me non è uno spazio bianco. Gli infiniti momenti passati a osservare sfumature, colori e forme non sono persi La sproporzione tra il lungo tempo passato sul puzzle e il numero irrisorio di tessere inserite non mi dà ansia. Anzi calma la necessità di riempire ogni vuoto e fa dimenticare le angosce. Costringe a vivere nel qui e ora, imparare ad accettare nuovi ritmi.
Insomma, da un certo punto di vista, ho la sensazione che non ci sia niente di più contraddittorio di un puzzle. E che proprio questa contraddittorietà me lo renda affine e soprattutto lo renda affine a quella che in parte è - e in parte vorrei fosse - la mia visione della vita.
Un mix di volontarismo e fatalismo. Lasciarsi andare al flusso dell'esistenza, senza resistenze o paure, ma anche attenti a cogliere quelle correnti che più sono in sintonia con il nostro spirito, a non farsi sfuggire - nell'aggrovigliarsi dei pensieri - quei momenti magici di perfetta armonia.
Capire che il piacere è nel mentre. Che una costante proiezione in avanti dà la spinta propulsiva, ma può svuotare il farsi delle cose.
Aspettare lasciandosi pervadere dall'intorno.
Consentire alle cose, alle persone, alle situazioni di comunicare con le nostre profondità senza forzare l'incastro delle tessere.
Sentire il proprio corpo. Attivare i propri sensi. Lasciare andare la propria mente ai suoi imprevedibili percorsi.
Ritrovare il contatto. Con se stessi, prima di tutto.
Ah... dimenticavo! Buone vacanze a tutti!
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