Non è che mi sono convertita alle grandi produzioni hollywodiane a tutti i costi. So che alcuni di voi aspettano recensioni a film minori ma che sarebbero certamente nel mio stile, come ad esempio I gatti persiani, ma vi assicuro che non è facilissimo qui a Bruxelles riallinearsi al mercato italiano. I film che in questo momento sono nelle sale contemporaneamente in tutta Europa sono appunto quelli come Robin Hood, mentre – posto che gli unici due film italiani qui in circolazione in questo periodo sono La prima linea e Alza la testa – anche su tutto il resto si fa fatica a capire cosa arriverà magari più avanti nelle sale italiane e cosa è destinato a rimanere qui nel mercato belga e dintorni. E così, film come I gatti persiani magari sono già passati, oppure arriveranno, oppure qui non li vedranno mai. Quindi, per il momento, siate clementi e – come si dice – accontentatevi di quello che passa questo convento.
E così, ieri sera mi accingo ad andare a vedere - come sempre sotto casa - Robin Hood. Pensavate di sapere già tutto della sua storia e di aver già visto tutto il possibile? Ebbene, Ridley Scott ci dimostra che non è così con questo inedito Robin Hood (Russell Crowe) delle origini, di ritorno dalle Crociate al seguito di Riccardo Cuor di Leone e alla ricerca della sua storia personale che lo conduce nella contea di Nottingham, sotto le mentite spoglie di sir Robert Loxley, caduto in una imboscata.
Ridley Scott ci racconta così dell’incontro con Marian (Cate Blanchett) e di come, dopo aver riunito i baroni di Inghilterra contro il comune nemico francese, il nostro Robin viene disconosciuto e spinto nell’illegalità dall’inetto e invidioso re Giovanni (Oscar Isaac, da poco visto anche in Agora).
Insomma, a tutti gli effetti si tratta di una sorta di prequel rispetto a tutti i Robin Hood che abbiamo già visto. E Ridley Scott ce lo propone con grande dispiegamento di mezzi, ricordandoci, ma anche superando sul loro stesso terreno, altri classici non solo relativi allo stesso personaggio (si pensi ad esempio al Robin Hood con Kevin Costner), ma anche relativi ad altri con similari caratteristiche (ad esempio, Il primo cavaliere con Richard Gere o Braveheart con Mel Gibson).
Insomma, pare proprio che un certo tipo di registi e un certo tipo di attori non possano fare a meno di confrontarsi con questi eroi a cavallo, che sanno tirare di spada e sono infallibili arcieri, forse perché in qualche modo questo rappresenta la più alta realizzazione del loro sogno di bambini. Ma va detto che anche alcune tra le più belle e brave attrici in circolazione sembra non possano fare a meno di vestire i panni delle loro donne, quasi sempre dotate di personalità significative e ruoli non certo secondari. Il carattere, nonché la bellezza, non fanno certo difetto, ad esempio, a questa splendida Marian (Cate Blanchett), che gestisce la proprietà mentre il marito è in guerra e non disdegna di scendere anche lei sul campo di battaglia.
Non v’è dubbio che, rispetto ai suoi predecessori, questo Robin Hood appare giustamente più sporco e maleodorante, più massiccio nella sua fisicità (grazie anche al fisico di Russell Crowe) ed è più allineato al paesaggio circostante (natura e insediamenti abitativi), che almeno apparentemente ci risulta più realistico e meglio ricostruito.
Bello anche ritrovare i personaggi di contorno, da fra Tuck (Mark Addy) a Little John (Kevin Durand), che aggiungono una buona dose di allegria all’insieme.
Che dire? Mi è piaciuto. Gran spettacolo per gli occhi. Grandiose – a volte forse persino eccessive – le scene di battaglia. Giusta dose di ironia e sentimento. E alla fine ti ritrovi inevitabilmente a fare il tifo per questa masnada di soldatoni un po’ selvaggi e ad entusiasmarti per la bellezza del gesto con cui scagliano le frecce.
E però – non so bene perché – non riesco davvero a sentirmi trascinata, come pure mi ricordo mi era capitato in passato con film dello stesso genere. Non so, sarà l’età; forse all’alba dei 37 ho inevitabilmente perso quella naiveté giovanile (o forse un po’ infantile) che in passato mi faceva davvero entrare nel vivo di queste storione di avventura e amore. Insomma, sarà che si diventa cinici e disillusi, e anche un po’ insensibili, forse un po’ troppo cerebrali, ma non si riesce davvero più ad apprezzare fino in fondo questi giocattoloni a misura di adulti, confezionati appositamente per noi.
O forse, in questa fase della mia vita, non ho bisogno di fughe dalla realtà, né di input esterni a ravvivare il mio mondo interiore e i miei entusiasmi. Eh, sì, perché il mio universo emotivo è stato completamente catalizzato e ha trovato massima espressione in una sfera parallela, ma ben più reale, che evidentemente da un lato allarga i pori della sensibilità per catturare il mondo esterno, ma dall’altro rilascia di ritorno solo il riflesso di quello che al suo interno brilla di luce propria.
O forse ancora, sto vaneggiando… e i film in lingua originale con i sottotitoli in francese e fiammingo non solo mi fanno venire il mal di testa, ma alterano il mio equilibrio mentale. Abbiate pazienza!
E certo il primo sole estivo su questa spiaggia ad Ostenda dove sto scrivendo il mio post non credo che aiuti.
Voto: 3,5/5
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