Diciamocelo: andare a vedere questo film per me è stato sostanzialmente un ripiego. Non dico che non l'avrei visto, ma certo ieri non ero uscita di casa per vederlo. E così, complice lo sciopero di diverse sale cinematografiche romane, alla fine mi sono ritrovata in una stracolma sala del Savoy a vedere Genitori & figli: Agitare bene prima dell'uso, di cui tra l'altro avevo sentito parlare la sera prima a Che tempo che fa dal regista Giovanni Veronesi e da una delle protagoniste, la mia adorata Lucianina Littizzetto.
Il film, come ha raccontato il regista, si ispira ai contenuti di una selezione di temi scritti da adolescenti in diverse scuole italiane sul rapporto genitori/figli. E infatti se un merito dobbiamo riconoscere a questo film è certamente la sua freschezza e la sua verità nel rappresentare queste dinamiche, senza scadere in dramma e senza pretendere di proporre modelli, soluzioni e ricette.
Il film strappa frequentemente la risata senza essere stupido, riesce ad essere leggero senza essere necessariamente superficiale. Il cast di attori è di prim'ordine, sebbene devo dire che i più convincenti siano alla fine proprio i ragazzi, la protagonista Nina (Chiara Passarelli), il suo filarino detto Ubaldolay (Vittorio Emanuele Propizio), Gigio (Andrea Fachinetti), il figlio del professore Michele Placido.
Alla fine, però, si ha l'impressione di aver assistito a una puntata di una fiction televisiva, potrebbe essere Un medico in famiglia, o I liceali, o qualunque altra cosa di questo genere. Ci scivola addosso senza lasciare il segno, senza darci nuove prospettive, senza scombinare le carte, senza costringerci a riflettere; non ci dice niente che non sapessimo già e indugia anche in un sostanziale buonismo per cui si esce dal cinema senza essere nemmeno particolarmente preoccupati, perché alla fine tutto in fondo si conclude per il meglio, anche se come dice Nina, in questo caso non conta tanto l'intelligenza, ma è solo questione di c**o.
Gli stessi attori, pur bravi, non tirano fuori approcci inediti e volti nascosti, sono loro, esattamente come li conosciamo, da Silvio Orlando a Margherita Buy a Piera degli Esposti. E Lucianina è al contempo un po' troppo sopra le righe e un po' troppo irregimentata per i suoi standard. Non c'è niente da fare, lei, bisogna lasciarla parlare a ruota libera, questa è la sua forza.
Alla fine, Giovanni Veronesi non solo non riesce a rinunciare al linguaggio e agli stereotipi della commedia all'italiana - e la cosa in sé non avrebbe nulla di male -, ma non riesce a sollevare la farsa, la battuta spiritosa, la colorita espressione romanesca in strumento di un discorso più articolato e approfondito.
Insomma, esco dal cinema, e mi viene un po' di tristezza, perché erano anni che non vedevo una sala così piena di gente e un pubblico così contento di aver visto un film, e penso che forse questo è l'unico livello di comunicazione che oggi sappiamo o vogliamo accogliere perché non ci va affatto di gestire emotivamente una maggiore drammaticità né di dover fare i conti con qualcosa che non sia lineare e rassicurante. Peccato che la vita non è una commedia all'italiana.
O forse sì?
Voto: 2,5/5
LA vita non è una commedia all'italiana, certo. Ma la televisione e surrogati è diventata un "in sè" della nostra vita sociale ... e lo è sempre più
RispondiEliminaciao
Carlo
Eh, sì... purtroppo!
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