Questo è il film-documentario dell'italo-svedese Erik Gandini di cui non vedremo il trailer sulle televisioni nazionali di Rai e Mediaset e, d'altra parte, non poteva essere diversamente per un film che parla proprio di come la televisione sia stata in grado - negli ultimi trent'anni - di modificare il tessuto sociale e i valori culturali del nostro paese.
A noi italiani il film non dice niente di veramente nuovo e, da certi punti di vista, appare anche un po' disequilibrato (ad esempio per lo spazio un po' eccessivo che dedica a Fabrizio Corona, comunque superba esemplificazione del processo di sgretolamente umano in corso). Certo, in altri paesi - che pure in parte condividono con noi alcuni di questi temi - il film potrà aiutare a chiarire la specificità italiana e la proporzione che da noi hanno assunto certi fenomeni.
A me è piaciuto in particolare il taglio che Erik Gandini ha dato al film. Avevo letto in una sua intervista che il regista si proponeva di far capire - soprattutto ai non italiani - che su questo fenomeno non c'è niente da ridere e che piuttosto stiamo assistendo a un film dell'orrore. Ed effettivamente il film - musiche, montaggio, immagini - è costruito quasi come un horror movie, sebbene tocchi paure e corde ben diverse.
Ho trovato inoltre commovente, e al contempo disturbante, la scelta di seguire il "sogno televisivo" di Ricky, che da 12 anni studia karate e impara a ballare per smettere di fare l'operaio e sfondare sul piccolo schermo, allo scopo di avere finalmente soldi, macchina e donne. E, per quanto più di una volta ci si chieda - e in fondo si speri - che Ricky sia un'invenzione del regista, è triste dover ripetersi e constatare che non è così.
Insomma, non c'è dubbio che non è un film da cui si esce di buonumore, ma val la pena di vederlo!
Voto: 3,5/5
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