Jeffrey Eugenides, Middlesex, trad. di Katia Bagnoli. Milano, Mondadori, 2004.
Come sempre faccio fatica a entrare nella trama narrativa di un libro articolato come è questo Middlesex. E così più volte, senza successo, avevo cominciato a leggerlo, ma la mia quasi totale incapacità di leggere per puro piacere al di fuori dei periodi di vacanza mi aveva fatto abbandonare l’impresa.
Alla fine, dietro l’insistenza di un amico, mi sono finalmente decisa ad avventurarmi con decisione nella lettura. Il risultato è stato quello classico dello sbocciare dei grandi amori: impossibilità di staccarsi dal flusso degli eventi, riflessioni sul tema e sulla storia anche al di fuori dei momenti di lettura, nottate sveglia per conquistare pagine, e così via…
La storia è piuttosto semplice, sebbene lo svolgimento risulti particolarmente complesso. Protagonista del libro è Calliope, figlia di immigrati greco-turchi negli Stati Uniti di seconda generazione, che alla nascita, per superficialità del medico, non viene riconosciuta come ermafrodito e viene cresciuta fino all’adolescenza come una ragazza. Alla scoperta della verità Calliope decide una vita da uomo, abbandonando la famiglia per ritrovare se stesso.
Il narratore è Cal adulto che, per spiegare la sua incredibile vicenda, racconta la storia di tre generazioni della famiglia Stephanides, dai suoi nonni (fratello e sorella portatori del gene recessivo responsabile della sua condizione), ai suoi genitori e zii, fino a se stesso e suo fratello.
Nello svolgersi delle vicende della famiglia Stephanides vediamo srotolarsi davanti ai nostri occhi pezzi di storia greca (l’incendio della città di Smirne che costringe i nonni ad abbandonare la loro patria, l’occupazione di Cipro da parte dei Turchi) e un’ampia fetta della storia americana (il periodo delle massicce immigrazioni dall’Europa e i problemi dell’inserimento e dell’integrazione, i conflitti razziali, la politica estera americana…). Insomma, per farla breve, si tratta di una straordinaria saga, che sul piano letterario mi ha ricordato altri due libri che ho amato molto, Vita di Melania Mazzucco e Carne e sangue di Michael Cunningham, e sul piano cinematografico mi ha richiamato alla mente – e non so bene perché – Forrest Gump.
La scrittura di Eugenides è affascinante perché non lineare ma giocata su continui flashback tra presente e passato, nonché stimolante sul piano letterario.
I personaggi sono tutti molto forti e si imprimono nella mente con una vividezza straordinaria: dalla nonna Desdemona al padre Milton alla zia Sourmelina per arrivare ovviamente a Callie. E sullo sfondo si staglia questa comunità greca d’America che – come tutte quelle di immigrati – ha i suoi riti, le sue rigidità, le sue specificità e fa i conti continuamente con l’oscillazione tra tradizione e innovazione, tra conservazione e integrazione.
Insomma, non mi meraviglia affatto che questo libro abbia vinto il Premio Pulitzer nel 2003. E a questo punto, dopo una pausa vargasiana, non potrò mancare di lanciarmi nella lettura dell’altro romanzo di Eugenides, Le vergini suicide.
Voto: 4,5/5
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