venerdì 14 novembre 2025

Chimere / J. Bernlef

Chimere / J. Bernlef; trad. di Stefano Musilli. Roma: Fazi editore, 2024.

Chi, come me, ha vissuto piuttosto da vicino l’Alzheimer a causa della malattia di un familiare sa che, di fronte a un malato di questa terribile malattia, non si può fare a meno di chiedersi cosa succede nella sua mente, che tipo di percorsi mentali determinino certi comportamenti e azioni.

Purtroppo, questa domanda dal punto di vista scientifico, per il momento, è senza risposta e l’unica risposta possibile nasce dall’interpretazione dei comportamenti basata sull’osservazione e sulla frequentazione del malato.

L’arte – la letteratura e il cinema in particolare – hanno provato da questo punto di vista a colmare il gap attraverso l’immaginazione, e secondo me le parole sono quelle che meglio di tutte riescono nell’impresa.

È quanto fa J. Bernlef in questo romanzo pubblicato per la prima volta nel 1984 e solo adesso – quarant’anni dopo – proposto in traduzione italiana dall’editore Fazi.

Protagonista di questo romanzo è Maarten, che ha una settantina d’anni e vive con la moglie Vera in un paese vicino Boston, dove i due coniugi si sono trasferiti da molti anni provenendo dai Paesi Bassi. I due vivono da soli, perché i loro due figli ormai adulti vivono altrove.

La narrazione è fatta in prima persona da Maarten e inizia quando una mattina l’uomo, guardando dalla finestra di casa sua, non vede i ragazzi che vanno a scuola e non capisce perché: si tratta del primo episodio di disorientamento temporale e dunque un primo segnale dei disturbi cognitivi che da qui in poi renderanno la percezione di Maarten sempre più sganciata dalla realtà e i suoi pensieri sempre più confusi.

Poiché si è in balia delle parole e dei pensieri del protagonista senza avere elementi di riscontro dalla realtà, se non a singhiozzo attraverso la sua interazione con la moglie, anche il lettore tende a perdere completamente le coordinate e a sperimentare una sorta di stato confusionale.

Per questo motivo, soprattutto nella prima parte, il libro si fa quasi racconto dell’orrore: il senso di angoscia e di spaesamento si impadronisce del lettore in virtù di un’inevitabile partecipazione all’alternarsi di momenti di consapevolezza e altri di obnubilamento che Maarten vive.

Man mano poi che Maarten precipita nel buco nero della malattia e la sua vita e i suoi pensieri si trasferiscono in una realtà parallela i cui contatti con quella effettiva sono sempre più labili, il senso di terrore e angoscia della prima parte del romanzo si trasforma sempre di più in uno stato di compassione nei confronti del protagonista.

La memoria a breve termine svanisce quasi completamente, mentre dal passato tornano dettagli e fantasmi che plasmano la quotidianità e danno ad essa nuove interpretazioni e nuovi significati. L’ansia non è completamente superata – e del resto è una condizione che spesso accompagna il malato di Alzheimer in tutto il percorso della malattia – però viene in un certo senso mitigata da questa forma di cosmogonia privata che ricolloca gli eventi incomprensibili dentro un orizzonte di senso totalmente avulso dalla realtà, ma accettabile a livello soggettivo.

Il romanzo di Bernlef credo sia la cosa che va più vicina di qualunque altra io abbia letto o visto a far provare quello che – probabilmente – prova un malato di Alzheimer dagli esordi della malattia alle fasi più avanzate.

Durante la mia personale esperienza a contatto con la malattia mi sono più volte chiesta come si sente un malato di Alzheimer: quello che osservavo dall’esterno erano momenti di ansia ossessiva e angosciante – che inevitabilmente si trasmette a chi sta intorno – ma anche momenti di straordinaria pace e serenità. E mi sono sempre detta che spero che il malato viva in un mondo tutto suo e con pochissimi contatti con la realtà, perché il rendersi conto sarebbe davvero la cosa peggiore in assoluto. Che è poi uno dei motivi per cui la malattia produce enormi carichi di angoscia ai caregiver e alle persone che sono legate al malato, e forse anche il motivo della vergogna e dello stigma sociale che spesso tiene i malati d’Alzheimer fuori dalla vista del mondo.

Bernlef riporta al centro della narrazione una di queste persone e ci costringe a entrare nella sua mente e a empatizzare con la sua condizione. E questa è la straordinaria forza della grande letteratura.

Voto: 4/5

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