Mah.
Il mio post potrebbe terminare qua, visto che questo è lo scarno pensiero che mi ha attraversata durante tutta la visione dello spettacolo e anche al termine.
Il fatto è che negli ultimi anni mi sta succedendo con Paolini la stessa cosa che sta accadendo con Celestini, ossia che faccio sempre più fatica a trovare interessanti i loro spettacoli e la cosa mi intristisce molto, visto che in entrambi i casi avevo amato moltissimo alcuni loro lavori più risalenti nel tempo.
Non so da cosa dipenda, se dall’età che avanza (la loro e anche la mia), da un contesto profondamente trasformato (in cui il teatro di parola deve in parte reinventare sé stesso ma non sa bene in quali direzioni), o da altro che non sono in questo momento in grado di identificare.
Con Boomers per me Paolini realizza uno spettacolo privo di nerbo e di identità: la narrazione è sfilacciata e a tratti affastellata, il tono non riesce a trovare un equilibrio tra l’ironico e il drammatico, tra il leggero e il malinconico, gli obiettivi sono un po’ confusi e poco focalizzati, e il contenuto non riesce a trovare un vero centro di interesse.
Tutto inizia dal bar della Jole in quella lunga notte del 1969 in cui l’uomo toccò per la prima volta la superficie lunare; e da lì la narrazione vorrebbe seguire la complessa e articolata storia dell’Italia, soprattutto dei suoi sviluppi sociali e tecnologici, da quel piccolo ma significativo punto di vista che è un piccolo bar della provincia veneta. E invece a un certo punto irrompe il dialogo con il figlio e il gioco che, attraverso un casco per la realtà virtuale, permette al protagonista da un lato una galoppata fantastica nel tempo e nello spazio, dall’altro la memoria nostalgica di un tempo passato.
Persino le musiche cantate dal vivo dalla brava Patrizia Laquidara e suonate da altrettanto bravi musicisti non riescono a risollevare lo spettacolo dalla sua medietà, e devo dire che anche la selezione musicale risulta alla fine fin troppo nazional-popolare e si chiude con il coro del pubblico su Figli delle stelle di Alan Sorrenti.
Ora, sicuramente io sono troppo critica: intorno a me c’erano persone entusiaste in alcuni casi e contente in altri. Però, a me sembra che Paolini (un po’ come Celestini) stia facendo fatica a ritrovare la sua voce nel mondo di oggi e capisco che non è facile quando hai ormai un’età e sono 40 anni che fai lo stesso mestiere.
A me spiace molto, e spero davvero in un futuro guizzo che mi costringerà a rivedere il mio giudizio e a ribaltare le mie riflessioni.
Voto: 2/5
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