Approfitto di un weekend bolognese per andare a vedere l’ultimo spettacolo di Arturo Cirillo che nel suo tour – almeno per questa stagione – non tocca i teatri di Roma.
Che Cirillo avesse una passione per Molière lo sapevo da quando, un po’ di anni fa, avevo visto il suo adattamento de La scuola delle mogli.
A questo giro il regista e attore napoletano si cimenta con un’opera classica di Molière, il Don Giovanni, personaggio presente in diverse tradizioni culturali e che ha ispirato prodotti culturali diversi, tra questi particolarmente famosa è l’opera di Mozart, musicata a partire dal libretto di Lorenzo Da Ponte.
Cirillo, dunque, tenta una specie di operazione impossibile, ossia mette in scena un Don Giovanni in cui si fondono i tratti dell’opera di Molière con le caratteristiche del libretto di Da Ponte, senza dimenticare il cantato e la musica di Mozart.
Ne viene fuori uno spettacolo che sulle prime potrebbe lasciare perplesso lo spettatore, soprattutto quello che conosce il Don Giovanni nella sua versione operistica e che dunque si ritroverà ad ascoltare le parti cantate in forma recitata o in una forma intermedia tra il recitato e il cantato su una partitura minimale che arriva direttamente da Mozart.
Io che l’opera di Mozart la conosco solo nell’adattamento dell’Orchestra di Piazza Vittorio e ricordo a malapena le arie più famose non ho particolari aspettative e sostanzialmente mi godo la storia di Don Giovanni, quest’uomo che ama il gioco della seduzione e che sull’altare della seduzione sacrifica qualunque remora religiosa e morale, fino a sfidare la morte.
Il suo alter ego è rappresentato dal servo Sganarello, che - pur obbedendo ai suoi ordini e pur manifestando di tanto in tanto le stesse debolezze - cerca di richiamare continuamente il suo padrone ai dettami sociali e religiosi.
Ne viene fuori una storia che ai miei occhi – come spesso mi accade di fronte alle opere musicali – mi appare un pastiche, in cui la narrazione è totalmente al servizio dell’intrattenimento, ma che – nella rilettura di Cirillo – riesce a mescolare sapientemente tragedia e commedia, dando spazio ad alcune forme ossessive che lo stesso regista riconduce addirittura a certo teatro dell’assurdo.
Personalmente – ma chi sono io per dirlo? – l’operazione appare pienamente riuscita e anche quel fastidio iniziale per una drammaturgia che mescola codici e linguaggi diversi via via si attutisce fino a risultare interessante e divertente.
Bravissimi gli attori, lo stesso Cirillo – che però per me non è una sorpresa – e soprattutto Giacomo Vigentini nei panni di Sganarello che si rivela una vera forza della natura.
Voto: 3,5/5
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