Tutta intera / Espérance Hakuzwimana. Torino: Einaudi, 2022.
Ho scoperto e comprato questo libro dopo aver letto un lungo post su FB di Espérance Hakuzwimana in cui l'autrice annunciava la sospensione del suo tour di presentazione del romanzo in giro per l'Italia non solo per il costo economico non banale, ma anche e soprattutto per il costo emotivo del confronto con un mondo in cui il razzismo continua a essere onnipresente, anche quando è inconsapevole.
Del resto, è proprio di questo che la scrittrice ruandese, adottata da una famiglia italiana, parla in questo suo romanzo, che arriva dopo il saggio autobiografico E poi basta. Manifesto di una donna nera.
La protagonista di Tutta intera è Sara, una giovane donna che condivide con l'autrice la condizione di essere nera, ma cresciuta in una famiglia di bianchi, in una città (immaginaria) che si sviluppa a cavallo del fiume Sele, dove da un lato vivono gli "integrati", dall'altro - a Basilici - le famiglie di immigrati provenienti da ogni parte del mondo.
Sara è cresciuta in un mondo di bianchi, in una famiglia con un padre professore di liceo e una madre cuoca della mensa di un asilo, mentre suo zio gestisce le coltivazioni di pesche che sono l'oro rosa di questa terra e dove lavorano molte delle persone che provengono da Basilici.
Per la protagonista l'incontro-scontro tra i due mondi si verifica quando - grazie alla mediazione di don Paolo - va a tenere un corso facoltativo pomeridiano nella scuola di Basilici, dove viene a contatto con il variegato e non scontato mondo in cui vivono Taja, Charlie Dì, Giulio Arbour, Paul Bonafede e molti altri ragazzini che in parte assomigliano fisicamente a Sara, ma che da lei e dalla sua vita sono invece lontani anni luce.
Inizierà dunque così per Sara un percorso di decostruzione - che le farà mettere in discussione tutta la vita che ha vissuto fin lì - e poi di ricostruzione, alla ricerca di quelle parti di sé che fino a quel momento non aveva riconosciuto o messo a fuoco.
È come se improvvisamente Sara prendesse coscienza del razzismo più o meno strisciante nel quale ha sempre vissuto, nonostante l'amore dei suoi genitori, e si rendesse conto che non può più fare finta di niente, né puntare all'assimilazione integrale con i bianchi, perché la propria fisicità e le proprie origini richiedono una presa di posizione anche nei confronti delle persone che pure l'hanno cresciuta e amata, e soprattutto nei confronti della società tutta che discrimina quanti sono stati più sfortunati di lei, ma che dimostrano spesso di avere più risorse e più capacità di adattarsi alla realtà.
Ne viene fuori un quadro per niente pacificante e pacificato, in cui la strada da fare è ancora lunghissima perché il razzismo ci abita in modi profondi e sotterranei di cui talvolta nemmeno ci accorgiamo, ma che offendono e marcano le differenze.
È un po' la sensazione che ho provato leggendo Americanah di Chimamanda Ngozi Adichie. Sicuramente il libro della Hakuzwimana è più semplice sia narrativamente che stilisticamente, ma conferma il potere straordinario dei libri nell'aiutarci a metterci nei panni di persone diverse da noi e a comprendere per quanto possibile il loro punto di vista.
Per me ultimamente leggere libri di scrittrici di origine africana è servito proprio a questo: provare a capire e soprattutto riconoscere che cose per noi scontate e inoffensive non lo sono se ci si mette da un punto di vista differente.
Voto: 3,5/5
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