Un paio di anni fa, quando la pandemia stava allentando la sua presa, i Notwist erano venuti a Roma per un concerto, ma una febbre pochi giorni prima mi aveva impedito di andare ad ascoltarli dal vivo (cosa che tra l'altro avevo fatto con soddisfazione diverse volte in passato).
A questo giro, dunque, e tanto più che la sede prescelta era il mio amato Monk, non mi sono lasciata sfuggire l'occasione di tornare ad ascoltarli.
Quando entriamo in sala il palco (non certo enorme) è strapieno di strumenti musicali e altra strumentazione, che oscilla tra l'elettronica e il vintage, e del resto dai Notwist non ci si poteva aspettare di meno.
Quando si presentano sul palco sono in formazione completissima, i due fratelli Archer, Markus (voce e chitarra) e Michael (basso), insieme a Cico Beck (sintetizzatori), Andi Haberl (una batteria esplosiva), Karl Ivar Refseth (vibrafono), Max Punktezahl (chitarra e tastiera), e quella che per me è una new entry, ossia Theresa Loibl (clarino, tastiera, e harmonium).
La sala del Monk si riempie completamente di gente, e la presenza di persone di età anche superiore alla mia è piuttosto significativa, anche perché i Notwist sono su piazza da parecchio e loro stessi (almeno il loro nucleo centrale) non sono più giovanissimi.
I Notwist sono musicisti che non si perdono in chiacchiere e hanno un aspetto quasi dimesso, ma dal vivo sono un'esperienza ogni volta nuova e inattesa. Il flusso musicale - com'è loro abitudine - è quasi continuo, praticamente senza interruzione e talvolta con raccordi tra una canzone e l'altra, e a questo giro il gruppo sembra aver deciso di volerci riportare alle atmosfere di una discoteca berlinese techno degli anni Novanta.
Pur con una setlist che attinge a molti loro lavori e dentro la quale ci sono alcuni dei loro grandi successi come One With the Freaks, Kong, Pick Up the Phone, Who We Used to Be, Into Another Tune, e poi nel bis anche il loro cavallo di battaglia, Consequence, gli arrangiamenti sono decisamente techno e sviluppano una potenza sonora pazzesca, nella quale la voce di Markus Archer quasi scompare, e invitano davvero a ballare e saltare come fa Max Punktezahl mentre suona sul palco.
Personalmente resto incantata dalla perizia (e anche nerdaggine) musicale di questo gruppo, che usa una straordinaria molteplicità di strumenti e di combinazioni strumentali, modernissime e vintage (come i remix che Markus fa con i vinili su un giradischi); devo però ammettere che la scelta musicale fatta dal gruppo non era perfettamente adatta a una sala chiusa e piccola come quella del Monk, dove funzionano meglio i concerti acustici o con un livello sonoro meno potente, e sarebbe stata perfetta in uno spazio aperto dove tra l'altro il folto pubblico presente avrebbe potuto stare meno appiccicato e avrebbe davvero potuto ballare insieme ai musicisti.
Voto: 3,5/5
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