Avevo puntato questo film fin dalla sua programmazione nell'ambito della Festa del cinema di Roma, ma non ero riuscita a vederlo. Già in quella circostanza ne avevo sentito parlare molto bene da diversi amici, poi il film esce in sala e la mia amica A. ne fa un post entusiastico su Facebook, cosicché la mia curiosità cresce ulteriormente.
Per fortuna, dopo averlo lisciato ancora, grazie al cinema Troisi che organizza una serata ad hoc co-organizzata con la Facoltà di psichiatria e psicologia della Sapienza Università di Roma, riesco finalmente a recuperarlo insieme a mio padre, mio ospite a Roma proprio in quei giorni.
Il film di Francesco Munzi, presente in sala e protagonista del dibattito finale insieme a Mauro Pallagrosi, dirigente medico psichiatra ASL Roma 1, è un documentario che nasce da un'esperienza molto particolare: la piccola troupe di Munzi, in particolare Valerio Azzali, trascorrono 100 giorni con il personale e i pazienti psichiatrici della ASL Roma 1, nonché le loro famiglie, e, in questo tempo, la telecamera riesce miracolosamente a scomparire, restituendoci la quotidianità di questo luogo e delle persone che lo popolano.
Ovviamente, non tutte le unità di personale né tutti i pazienti si sono resi disponibili a comparire nel film, ma le storie che Munzi e Azzali ci propongono costituiscono uno spaccato umano di grandissima intensità e valore.
Di fronte a noi le storie di Dimitri, ragazzo ucraino adottato quando aveva tre anni che sembra vivere in uno stato di apatia e sfiducia verso il futuro e ha un rapporto difficile con i genitori separati, Georgiana che ha avuto una figlia che le è stata tolta ma con cui vorrebbe ricongiungersi, Silvia che ha disturbi alimentari e non vuole separarsi dal padre, un ragazzo di 43 anni che vive in un delirio di persecuzione e di dissociazione dalla realtà, una ragazza di colore che si muove con circospezione e sembra rifuggire tutti.
Si tratta di storie difficili con percorsi terapeutici lunghi e non scontati, carichi di sofferenza e con prospettive incerte, eppure Munzi riesce nel non facile risultato di restituirci intera l'umanità di tutte le persone coinvolte, i pazienti, le famiglie, gli operatori sanitari. L'empatia è totale, anche con chi evidentemente ha una sofferenza psichica importante, e passa attraverso la possibilità - se non di una vera e propria comprensione - quanto meno di una compassione, intesa in senso letterale, ossia di sentire insieme a queste persone.
Assistiamo così ai colloqui tra pazienti e operatori, tra familiari e operatori, o anche a incontri allargati in cui partecipano insieme pazienti e familiari, oppure anche tutti i pazienti della struttura. Assistiamo anche a momenti difficili, momenti di crisi, di ribellione, di sofferenza, ma il film prende il volo soprattutto nel trasmetterci anche occasioni di incontro emotivo, di serenità, di chiarimento e addirittura momenti che definirei di pura poesia. C'è tanto pudore e tanto amore nella telecamera di Munzi che ci trasmette un voler bene, che finisce per essere anche il nostro, e che ci dimostra ancora una volta che solo la conoscenza aiuta a superare il pregiudizio ovvero i giudizi semplificati.
Il regista ci spiega durante il dibattito anche la scelta di introdurre nel film - quasi a creare dei veri e propri momenti onirici o di pausa - degli spezzoni tratti da filmini familiari (non direttamente relativi ai protagonisti) o ricavati da film sperimentali del passato. Si tratta - come ci dice Munzi - di suggestioni di tipo molto personale e forse arbitrario, che però ogni spettatore può cogliere e interpretare come vuole.
Si tratta in ogni caso di un asse "narrativo" parallelo che certamente aiuta a ritmare il racconto e in un certo senso ad amplificarlo, e che si affianca a un montaggio del girato molto efficace nello spostarsi da un personaggio all'altro e da una situazione all'altra in maniera intelligente e attrattiva per lo spettatore.
In definitiva il film di Munzi è un regalo prezioso che per una volta - ce ne vorrebbero molte di più di occasioni così - ci aiuta ad assumere, con intelligenza e sensibilità, un punto di vista davvero altro, e a renderci più consapevoli di una umanità ferita (che come ci dicono i titoli di coda è sempre più ampia, soprattutto dopo la pandemia) e che meriterebbe più attenzioni da parte delle istituzioni.
Al contrario, quello a cui assistiamo sono tagli alle strutture e al personale e rimozione collettiva, ossia la negazione di quello che una società davvero civile dovrebbe auspicare.
Voto: 4/5
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