Metà di un sole giallo / Chimamanda Ngozi Adichie; trad. di Susanna Basso. Torino: Einaudi, 2016.
Dopo aver amato il suo Americanah, torno a leggere un romanzo di Chimamanda Ngozi Adichie, scrittrice nigeriana che vive tra la Nigeria e gli Stati Uniti, dove ha svolto una parte dei suoi studi.
Con Metà di un sole giallo procedo all'indietro nella sua produzione, visto che il romanzo è uscito prima di Americanah, cosicché a questo punto non mi rimane che "chiudere" con la lettura die L'ibisco viola.
Se in Americanah la storia raccontata era quella di una giovane donna nigeriana trasferitasi negli Stati Uniti prima per studio e poi per lavoro e il suo contradditorio e complesso rapporto sia con il paese di origine sia con quello di adozione, in Metà di un sole giallo l'ambientazione è completamente nigeriana.
Siamo negli anni Sessanta in Nigeria. Un primo capitolo è ambientato nei primi anni Sessanta, e un secondo capitolo nella seconda metà del decennio quando scoppia la guerra civile. Poi si ritorna nuovamente ai primi anni Sessanta e poi nuovamente all'epoca della guerra civile.
Protagonisti di questa storia sono Olanna, una giovane e bellissima donna che decide di tornare in Nigeria dopo aver studiato all'estero per amore di Odenigbo, professore all'Università di Nsukka e attivista politico, e sua sorella gemella, Kainene, donna forte e concreta, oggetto dell'amore di Richard, un cittadino britannico appassionato di Africa. Il punto di connessione tra questi personaggi è Ugwu, un giovane di modeste origini, che diventa il domestico in casa di Odenigbo, che sarà poi anche casa di Olanna.
Ognuno di loro rappresenta un modo di essere, un punto di vista sulla Nigeria e sul mondo.
Tutte queste visioni, da quelle colte e raffinate di Olanna, Odenigbo e della stessa Kainene, a quelle ingenue - seppure per motivi diversi - di Richard e Ugwu si scontreranno a un certo punto con lo scoppio della guerra civile, la tristemente nota guerra del Biafra, offrendo uno sguardo interno alla comunità igbo (cui appartengono tutti, tranne ovviamente Richard), protagonista del tentativo di secessione e di indipendenza del Biafra dalla Nigeria.
Come già era stato durante la lettura di Americanah, Chimamanda Ngozi Adichie riesce a farci entrare nella mente dei suoi personaggi - che in questo caso si alternano come protagonisti della storia e a turno raccontano il loro modo di stare e vedere gli eventi - realizzando il non facile obiettivo di empatizzare con ciascuno di essi, ed è fondamentalmente attraverso questa empatia che la scrittrice ci offre anche molti elementi conoscitivi e di documentazione, ci aiuta a mettere insieme dati e idee, per capire quanto accade.
La sua straordinaria capacità sta nell'azzerare qualunque elemento di giudizio semplicistico e nel mettere in evidenza la contradditorietà del reale. Man mano che si prosegue nella lettura è dunque inevitabile per il lettore passare da uno sguardo di contemplazione di una borghesia nigeriana che ci è in buona parte sconosciuta a una vera appropriazione dei loro sentimenti e stati d'animo che produce nel lettore un'amarezza e una sofferenza crescente, man mano che la vita di queste persone - che nel frattempo abbiamo in qualche modo imparato ad amare - viene completamente devastata materialmente e moralmente dalla guerra.
Si esce per l'ennesima volta con la convinzione che la guerra, qualunque guerra, è sempre una tragedia, per i vinti e pure per i vincitori, e lascia ferite enormi, difficili se non impossibili da sanare. In questo caso, poi, emerge potentissimo il tema del post-colonialismo, i danni che i paesi occidentali hanno fatto in territorio africano (e non solo), e che - possiamo aggiungere - continuano a fare, calpestando identità, mancando di rispetto alle culture locali, sfruttando il territorio.
Più leggo Chimamanda e più mi rendo conto della mia ignoranza su questi mondi, e mi scatta il desiderio di leggere ancora, saperne di più e possibilmente capirne di più.
Voto: 4/5
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