La mia personale maratonina della rassegna “I grandi festival a Roma”, che a fine settembre ha portato nelle sale romane i film presentati a Venezia, inizia con questo quasi documentario dei due registi slovacchi Ivan Ostrochovský e Pavol Pekarcik, che è da poco il film slovacco in lizza per la shortlist dei candidati all’Oscar per il miglior film straniero. I due registi sono stati alcuni mesi in Ucraina, nella zona di Kharkiv, uno dei fronti più caldi della guerra, tra la fine del 2022 e l’inizio del 2023.
Qui hanno documentato le condizioni del paese e hanno vissuto per un po’ nei sotterranei della metropolitana della città - in una stazione collocata a 700 metri dalla linea di guerra - che è stata trasformata in rifugio per migliaia di persone che hanno abbandonato le loro case per paura dei bombardamenti.
Le telecamere dei due registi seguono in particolare i movimenti di Nikita, un ragazzino di 12 anni, che insieme alla sua famiglia vive da qualche tempo nei sotterranei della metropolitana. Questa vita vissuta tutta sotto la luce artificiale e in un contesto oggettivamente anomalo rendono Nikita apatico e insofferente, almeno fino a quando non incontra Vika, una ragazzina con un buffo vestito da coniglio con le orecchie che producono dei suoni. Dopo questo incontro le carrozze della metropolitana, i binari, i corridoi sotterranei e tutto questo piccolo mondo nel quale vivono si trasforma in un luogo di giochi, scoperta e avventura, che – pur nella difficoltà della situazione – rimette Nikita in contatto con il suo essere ragazzino. La riconquista della vitalità seguita all’incontro con Vika è rafforzata anche dall’amicizia con il “cowboy”, un vecchio signore che con la sua chitarra intona canzoni tradizionali e offre consigli d’amore al ragazzino.
Tra i giochi che Nikita fa insieme a Vika e a sua sorella c’è anche quello di guardare vecchie diapositive attraverso un visore: queste diapositive si trasformano per lo spettatore in immagini in movimento, che sono poi le immagini girate in Super8 dai due registi e che mostrano il mondo fuori dalla metropolitana, persone che posano o si muovono tra le macerie, o davanti a edifici distrutti, o mentre si intravedono colonne di fumo in lontananza.
Si mostra così sullo schermo questa duplice dimensione, che rappresenta in realtà due facce della medesima guerra: gente costretta a rifugiarsi sotto terra e a vivere in condizioni di fortuna insieme ad altre migliaia di persone per sfuggire ai bombardamenti, e gente che in superficie rischia continuamente la vita e assiste alla distruzione del mondo nel quale vive.
Il documentario dei due registi slovacchi è sicuramente meritevole perché racconta in presa diretta e da un punto di vista diverso una realtà che noi viviamo solo attraverso le notizie e le immagini del telegiornale o provenienti da Internet. Cinematograficamente l’ho trovato un pochino fiacco, ma magari ero un po’ stanca io, e certamente capisco che non è facile fare un film in un contesto in cui le giornate si ripetono uguali, e la guerra – in realtà vicinissima – resta comunque lontana.
Voto: 3/5
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