Nell’ambito del Romaeuropa Festival il Teatro Argentina ospita l’adattamento francese de Lo zoo di vetro di Tennessee Williams per la regia del belga Ivo van Hove, interpretato da Isabelle Huppert nel ruolo di Amanda, Justine Bachelet in quello di Laura, Antoine Reinartz in quello di Tom e Cyril Gueï in quello di Jim.
Siamo a Saint Louis, alla fine degli anni Trenta, nel seminterrato dove vive la famiglia Wingfried, formata dalla madre Amanda e dai due figli Laura e Tom. La storia in realtà è una ricostruzione a posteriori filtrata dalla memoria di Tom, che infatti – oltre a essere uno dei personaggi – è anche il narratore, il quale più volte durante il racconto si rivolge direttamente allo spettatore. È lui in apertura che ci mette in guardia rispetto al fatto che la narrazione va vissuta non come strettamente realistica, ma tanto quanto la distorsione del ricordo consente.
È sempre lui che ci spiega l’assenza del padre, andato via di casa molti anni prima senza lasciare tracce - si è limitato a inviare un’unica cartolina senza nemmeno un indirizzo -, sebbene la sua presenza emotiva resti ingombrante, come la scenografia esplicita, mostrando il suo volto sulle pareti della casa.
I Wingfried vivono dello stipendio di Tom, che lavora come magazziniere in un negozio di scarpe, e del poco che racimola Amanda promuovendo abbonamenti a riviste. Amanda è una donna esuberante, dalla parlantina inarrestabile, preoccupata del futuro dei suoi figli che vorrebbe vedere sistemati. Entrambi però manifestano una condizione di profondo disagio: Laura, che ha un piccolo handicap fisico, è fortemente introversa e la sua principale occupazione è la cura di una serie di statuine di vetro che rappresentano degli animali e che la madre chiama “lo zoo di vetro”, non studia, non lavora e non ha alcuno spasimante; Tom fa un lavora che odia, si rifugia ogni sera e in ogni suo momento libero al cinema, vorrebbe diventare scrittore e sogna l’avventura, ma si sente ingabbiato nel seminterrato in cui vive, pressato com’è dalle aspettative della madre, dall’affetto verso la sorella e dalla pesante ombra del padre.
L’invito a cena di Jim, collega di lavoro di Tom, nonché suo ex compagno di liceo, che Amanda spera possa interessarsi a Laura, costituirà il momento della verità per tutti i membri della famiglia Wingfield e spingerà Tom a prendere infine la decisione di abbandonare la sua famiglia, anche se il senso di colpa per aver abbandonato sua sorella non lo lascerà mai.
L’opera di Tennessee Williams, a quanto pare la più autobiografica di tutte quelle da lui scritte, trova nella regia di Ivo van Hove una interpretazione fedele all’originale e al contempo moderna. Personalmente, ho apprezzato particolarmente l’adattamento in francese, una lingua secondo me perfetta per il tono di questo dramma, che vede una fortissima frattura tra il malessere che i personaggi si portano dentro e il ritmo vivace, a tratti addirittura leggero, dei dialoghi. La quintessenza di questa contraddizione è il personaggio di Amanda, madre sovrabbondante, invadente, eccessiva in tutte le sue manifestazioni, che la straordinaria interpretazione di Isabelle Huppert riesce a rendere al contempo insopportabile e tenera, inscalfibile e fragile. Se la fragilità di Laura è evidente, e tutti – ognuno a suo modo – cercano di proteggerla, e quella di Tom si manifesta attraversa il suo malessere, i litigi con la madre e le fughe dal seminterrato, la fragilità di Amanda si nasconde dietro la sua esuberanza, dietro i racconti della sua giovinezza e dietro lo spasmodico controllo sulle vite dei propri figli, tutto frutto della paura del futuro.
Oltre alla splendida Isabelle Huppert, tutti gli interpreti si rivelano perfettamente in parte, contribuendo a rendere questo testo così personale per Williams e così lontano nel tempo e nello spazio non solo comprensibile al pubblico, ma anche emotivamente coinvolgente ed empaticamente intellegibile.
Un lavoro quello di van Hove su Lo zoo di vetro semplice e sorprendente al contempo.
Voto: 4/5
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