Ho preso il biglietto di questo spettacolo attirata dalla scelta di affrontare un tema non semplice: gli abusi intrafamiliari. Non conoscevo la drammaturga nonché interprete Giuliana Musso che qui è in scena con Maria Ariis.
La Musso racconta la storia di una madre che scopre gli abusi del marito sulla figlia quando ormai è troppo tardi, parecchio tempo dopo che il marito è andato via di casa. E lo racconta mettendo in scena sé stessa e l’incontro con la donna che le chiede di costruire uno spettacolo a partire da questa storia.
Sulla scena un grande tappeto quadrato rosso - una specie di ring – i cui confini sono segnati da due file di sedie a destra e sinistra, sedie che durante le varie fasi dello spettacolo diventano sedute, intralci, simboli e vengono spostate in varie posizioni.
Insieme dunque alla Musso scopriamo a poco a poco la vicenda di questa famiglia, che ha già avuto un epilogo giudiziario (con l’archiviazione del caso) ma che nella vita di questa madre resta una ferita aperta e forse non rimarginabile. Attraverso i dialoghi tra queste due donne a poco a poco ci facciamo un’idea di quello che è accaduto: a tratti siamo Giuliana che interroga la madre per conoscere questa storia, che non capisce il perché di alcuni suoi comportamenti, che in parte la giudica e la rimprovera, e in parte empatizza e interiorizza il suo dolore; in altri momenti siamo questa madre – forse ingenua, o forse sopraffatta da una verità più grande di lei e che non può accettare – che combatte con sé stessa e con il proprio senso di colpa, che viene respinta con violenza dalla figlia che si è sentita abbandonata, che viene giudicata dagli altri e soprattutto da sé stessa per non essere stata in grado di comprendere, di impedire, di aiutare, di risolvere. È un dramma senza soluzione quello di questa madre e forse di tutte le madri che attraversano esperienze così terribili, qualcosa che forse solo il tempo, tanto tempo, è in grado di ricomporre molto parzialmente, restituendo alle protagoniste – madre e figlia – la possibilità di metabolizzare il dolore e la rabbia e di ricominciare a vivere.
Attraverso il dialogo tra la Musso e la madre emerge però anche tutto il contesto nel quale si muovono le vittime di tali abusi (e considero vittima la figlia, ma anche in qualche modo la madre): psicologi, educatori, avvocati, giudici, e mille altre figure talvolta in malafede, altre volte ciniche, spesso pavide o incapaci, in alcuni casi consapevoli ma impotenti di fronte a una giustizia che in questi casi è ancora più imperfetta del solito e che comunque non solo non attenua il dolore delle persone abusate, ma talvolta lo amplifica perché le costringe a rivivere l’abuso.
Lo spettacolo è tutto fuorché banale e prevedibile: un lavoro di cesello, di pulizia formale e sostanziale, un’operazione di ricerca della verità ma anche ricco di compassione non superficiale.
Dallo spettacolo della Musso si esce scossi, senza una seppur imperfetta via d’uscita o soluzione, ma certamente più consapevoli, meno giudicanti, più capaci di empatia, e quindi forse esseri umani migliori di quando siamo entrati. E se questo è vero non ci può essere risultato più alto a cui il teatro può tendere.
Voto: 4/5
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