Arrivo al teatro senza sapere bene cosa aspettarmi da questo ultimo spettacolo di Sergio Rubini, il suo primo dopo il lungo blackout teatrale dovuto alla pandemia. Il titolo parla chiaro: il tema è quello delle case e dei lavori che le riguardano, cosa che mi è molto familiare e su cui sono molto sensibile in questo periodo tanto che F. mi dice che in fondo potrebbe trattarsi dell’occasione per esorcizzare il mio ultimo anno tra cantiere e operai.
Quando Rubini sale sul palco si capisce subito quale sarà il tono di questo spettacolo: niente di particolarmente strutturato, con un approccio sostanzialmente leggero, perché – come ci dice lo stesso autore – dopo questo periodo particolarmente impegnativo si sente il bisogno di leggerezza. A sottolineare questo approccio la presenza sul palco del gruppo Musica da ripostiglio, già visti e apprezzati qualche anno fa nello spettacolo di Favino Servo per due. Si tratta di quattro musicisti (un batterista, un contrabbassista, un chitarrista e voce, e un altro chitarrista che suona anche ukulele e armonica da bocca) che oltre a suonare cose molto diverse tra di loro, sono in grado con i loro strumenti di fare da commento musicale al parlato e di fare loro stessi spettacolo grazie all’interazione tra di loro e alle loro buffe gag.
Rubini dal canto suo ha scelto una strada forse per lui alquanto inusuale, una specie di stand up comedy, in cui la narrazione di piccole storie ed episodi della vita reale rappresenta il canovaccio da utilizzare per far ridere il pubblico. Il fil rouge è – come si diceva prima – quello delle case: Rubini parte infatti dalla sua prima casa romana, acquistata dai suoi genitori quando era giovane e si era trasferito a Roma per studiare all’Accademia, fino ad arrivare alla sua casa più recente, vissuta intensamente (come noi tutti) durante il periodo del lockdown, passando per il "ripostiglio con terrazza" e altre amenità.
Lo spettacolo inizia abbastanza in sordina: Rubini sembra particolarmente emozionato (e forse è normale vista la lunga assenza dalle scene e anche la sostanziale novità per lui di questo tipo di spettacolo), però a poco a poco il suo narrare un po’ nevrotico conquista il pubblico che sempre di più si immedesima nelle sue disavventure con le case che ha abitato e ride in maniera quasi liberatoria di esse. Non è dunque solo per me un modo di esorcizzare; la sensazione è che si tratti di un rito di esorcismo collettivo, aiutato anche dalla bravura e dall’approccio divertito e divertente dei Musica da ripostiglio.
Insomma, nonostante lo spettacolo non sia breve e io sia come al solito particolarmente stanca, l’attenzione non cala nemmeno per un minuto e si esce dal teatro con l’animo più leggero e contenti di aver vinto la pigrizia per trascorrere anche questa serata a teatro.
Lunga vita al teatro e a tutte le forme collettive di svago e divertimento, perché come esseri umani ne abbiamo davvero bisogno.
Voto: 3,5/5
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