Un posto tranquillo / Matsumoto Seichō; trad. di Gala Maria Follaco. Milano: Adelphi, 2020.
Sono ormai diventata un'habitué dei libri di Matsumoto Seichō, man mano che Adelphi - e non solo - li propone ai lettori italiani. Dopo essere stata conquistata da Tokyo Express, e aver letto con altrettanto interesse e piacere La ragazza del Kyūshū, non potevo farmi mancare anche la lettura di Un posto tranquillo, romanzo che venne pubblicato la prima volta nel 1971 (in un passaggio c'è anche un riferimento all'eccidio di Cielo Drive da parte della cosiddetta "famiglia Manson", avvenuto nel 1969).
Protagonista di questo romanzo è Tsuneo Asai, un funzionario del Ministero dell'Agricoltura, molto dedito al lavoro e desideroso di fare carriera, il quale - durante un viaggio di lavoro a Kobe - riceve una telefonata da Tokyo in cui gli viene comunicato che sua moglie è morta probabilmente per un infarto.
Tornato a casa, Asai conosce i dettagli della morte di Eiko, e comincia ad avere numerosi dubbi sulle sue circostanze, al punto da cominciare una vera e propria indagine che si fa sempre più approfondita.
A metà del libro circa arriva la svolta "investigativa" e si innesca una catena di eventi che fa precipitare le cose verso l'inevitabile conclusione.
Ancora una volta Matsumoto Seichō inserisce sapientemente la vicenda di un singolo individuo all'interno delle strutture della società giapponese e della sua specifica cultura. In questo caso un'attenzione particolare viene posta al mondo del lavoro e all'insieme di obblighi, condizionamenti e rigidità ch'esso impone sugli individui, soprattutto nel caso in cui essi si facciano portatori di ambizioni.
Ma, come sempre, la riflessione dello scrittore giapponese non è solo sociale, bensì anche psicologica e individuale, nella misura in cui va a scavare nei meandri della mente umana. Se ne La ragazza del Kyūshū l'obiettivo perseguito pazientemente e rigorosamente dalla protagonista era la vendetta, in Un posto tranquillo viene indagato il dubbio che attanaglia Asai, un dubbio che va ben al di là del legame con la moglie, bensì sconfina quasi in un'ossessione.
La spirale ossessiva in cui Asai finisce ha al contempo qualcosa di lucido e di folle, e gli esiti della sua vicenda individuale lo confermano, suscitando nel lettore un moto di repulsione che bypassa la compassione umana.
Matsumoto Seichō dimostra ancora una volta di conoscere perfettamente non solo la società giapponese e tutte le sue talvolta incomprensibili idiosincrasie, ma anche le contraddizioni dell'animo umano, sia dal punto di vista dell'impatto esercitato dal condizionamento culturale, sia per le sue caratteristiche universali che consentono a qualunque essere umano di comprendere alcuni percorsi mentali.
Lettura forse per certi versi meno entusiasmante di quella dei primi due libri dell'autore da me letti, ma non meno interessante.
Voto: 3/5
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