Stupore e tremori / Amélie Nothomb; trad. di Biancamaria Bruno. Parma: Guanda, 2006 (edizione ormai introvabile: ora si trova quella di Voland)
Non avevo mai letto quello che è considerato uno dei romanzi più famosi di Amélie Nothomb e cominciavo a considerarlo come una mancanza nella mia conoscenza di questa scrittrice. Così, approfittando di un viaggio in treno, l'ho letto tutto d'un fiato, come spesso mi accade con i libri della Nothomb.
Non posso dire che sia balzato in cima alla classifica dei miei libri preferiti della scrittrice belga (dove continuano a posizionarsi saldamente Metafisica dei tubi e Sabotaggio d'amore), però certamente si tratta di uno dei suoi romanzi più compatti e più convincenti. Uno di quelli in cui la sua ironia tagliente, il suo sguardo cinico sul mondo, il suo essere sopra le righe risultano più efficaci.
Il quadro del mondo del lavoro giapponese che viene fuori da questo romanzo è agghiacciante ma al contempo esilarante. Del resto, è vero che la Nothomb attribuisce all'attitudine giapponese verso il lavoro e alle sue regole sociali la responsabilità di produrre ambienti di questo tipo, ma è anche vero che chiunque lavori in contesti più o meno gerarchizzati non potrà non riconoscere alcune similitudini.
L'esperienza di Amélie presso l'azienda Yumimoto, dopo essere stata assunta come traduttrice ed essere finita a sostituire la carta igienica nei bagni, è tratteggiata con una forza narrativa e al contempo una qualche forma di misura che è sorprendente rispetto ad altri suoi scritti.
Per quanto mi riguarda continua a mancarvi quella vena di autoanalisi che invece raggiunge i suoi vertici nei miei due libri preferiti. Consiglierei però questo volume come punto di partenza per chi non ha ancora osato accostarsi alla genialità un po' folle e discontinua di questa scrittrice che altrove può entusiasmare o deludere profondamente, ma con questo libro riesce a mettere un po' tutti d'accordo.
Voto: 3,5/5
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