Difficilmente vedo film a casa (tranne quando sono costretta a farlo, come durante il lockdown), ma dopo aver sentito i podcast di Matteo Bordone su questo film e aver letto qua e là delle polemiche suscitate ho pensato non solo di doverlo vedere ma anche di doverne scrivere.
Mignonnes (in inglese Cuties e in Italia Donne ai primi passi) è il film distribuito da Netflix della regista senegalese Maïmouna Doucouré, che a suo tempo ha vinto il premio per la sceneggiatura al Sundance Film Festival.
Il film racconta la storia di Amy, una ragazzina di origine senegalese di undici anni, che vive con il fratellino e la mamma in Francia, in attesa del rientro del padre che si scopre aver sposato una seconda donna più giovane che porterà con sé.
Amy è in un’età della vita in cui da un lato si è ancora bambini e si hanno desideri da bambini, dall’altro ci si affaccia prepotentemente all’adolescenza e si comincia a cercare l’approvazione e il riconoscimento altrui in attesa di costruire la propria identità, ancora molto sfumata. Si tratta anche di un’età in cui la sessualità si fa sempre più presente e pervasiva, ma anche confusa e nebulosa perché è il frutto del sentito dire e di telefoni senza fili dagli esiti talvolta ridicoli: mi ricordo che quando avevo quell’età tra le ragazzine si cominciava a parlare di mestruazioni come se fosse un segreto da tenere ben custodito e io dai discorsi che avevo sentito mi ero convinta che il termine fosse “mestolazioni” e ne sono stata convinta a lungo! ;-)
Amy, oltre a vivere il momento del passaggio tra infanzia e adolescenza, si muove in un’altra delicata area di confine, ossia quella tra la sua cultura di origine cui la madre e gli altri parenti sono molto legati e la cultura occidentale nella quale vive.
L’innesco del coming of age per Amy arriva quando scopre un gruppetto di ragazzette della sua scuola che trascorrono i pomeriggi a provare dei balli per un concorso. Amy ne è affascinata e comincia a seguirle: inizialmente viene bulleggiata, ma quando una delle quattro litiga con le altre, Amy – che di nascosto ha studiato tutti i passi e anzi ha imparato ancora di più guardando i video sui social – vede finalmente l’occasione per farsi accettare e anzi per dimostrare il suo valore.
La ragazzina intraprende una strada che non solo la allontana sempre di più dalla famiglia, ma si fa sempre più pericolosa nell’utilizzare un linguaggio del corpo che assume accenti via via più sessualizzati. L’incontro con questa modalità di espressione suscita dentro Amy sentimenti contrastanti: da un lato le garantisce il successo sui social – invero effimero com’è normale che sia – e un crescente ascendente sull’universo maschile, dall’altro fa a pugni con il suo essere ancora bambina e la sua necessità di affetto e protezione.
Queste due forze saranno destinate a entrare talmente in conflitto da esplodere dentro di lei, e sarà proprio grazie a questa esplosione che Amy uscirà dall’infanzia con una maggiore consapevolezza e avendo imparato qualcosa in più di sé stessa e del mondo circostante.
Per chi riesca a guardare questo film con occhi non giudicanti e puliti è evidente che Maïmouna Doucouré ci racconta non solo quanto è difficile – e lo sia sempre stato – avere undici anni e non essere “né carne e né pesce”, e in questo caso “né africana né francese”, ma quanto questa età della vita sia diventata faticosissima e pericolosa in un periodo storico nel quale tutto passa attraverso i likes dei social, un giudizio ben più pesante e destabilizzante di quello a cui eravamo sottoposti noi quando avevamo quell’età.
Amy e le sue amichette ballerine (tra l’altre tutte bravissime) non sono diverse da quello che eravamo noi alla loro età, e io mi sono profondamente riconosciuta nelle loro ingenuità, nei loro discorsi, nel loro disorientamento, nei loro facili entusiasmi e nelle loro tristezze. Rispetto a noi devono fare i conti con un mondo circostante molto più ampio e in cui i meccanismi protettivi che in qualche modo agivano ai nostri tempi sono stati scardinati dalla rete, quella roba straordinaria e spinosissima che già noi adulti facciamo fatica a maneggiare senza farci male.
Mignonnes non è un film guardone o che guarda con compiacenza alla sessualizzazione delle bambine, è un film complesso e sfaccettato su un’età della vita e su un momento storico in cui avere quell’età già complicata di per sé stessa è ancora più complicato. E ci dice che forse non bisogna far finta di non vedere, ma piuttosto comprendere come adulti che questa età di scoperta riesce a mantenersi in equilibrio fino a quando questi ragazzini riescono a trovare un porto affettivo sicuro e stabile nelle loro famiglie e non si sentono fuori posto nelle loro case.
Film tenero e forte, da guardare con la mente sgombra da pregiudizi. Perché – come dice Bordone – quando ci sono i bambini di mezzo si perde qualunque oggettività e il passo verso la strumentalizzazione è brevissimo.
Voto: 3,5/5
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