Sempre grazie all’iniziativa #iorestoacasa di MyMovies, riesco a vedere questo film di Jeremiah Zagar tratto dal romanzo di Justin Torres We the animals, che avevo mancato più di una volta al cinema.
È la storia di tre fratelli, Manny (Josiah Gabriel), Joel (Isaiah Kristian) e Jonah (Evan Rosado), che vivono in una casa in mezzo ai boschi non lontanissima da New York, ma sostanzialmente fuori dalla civiltà, insieme ai genitori, un padre portoricano un po’ testa calda e una madre americana molto fragile. I due si amano, ma in un modo che oscilla tra momenti di grande vicinanza e sintonia e momenti di forte conflittualità, di cui i tre ragazzini sono spettatori impotenti nel bene e nel male.
La storia è raccontata dal punto di vista di Jonah, il più piccolo, che è dei tre quello che forse di più assomiglia a sua madre e che, pur essendo molto legato ai suoi fratelli con cui condivide giochi e scorribande, percepisce la propria diversità: mentre i fratelli dormono si rifugia sotto il letto a disegnare e a tradurre con le matite e i colori i suoi sentimenti, e a differenza loro non sa nuotare e non punta su forza e coraggio.
Nella cornice di una fotografia che – come è stato detto da molti – ricorda quella dei film di Terrence Malick e attraverso la scelta di inserire all’interno del girato “quasi documentaristico” le animazioni dei disegni del piccolo Jonah, si sviluppano parallelamente la storia di questa famiglia, con i suoi alti e bassi, le separazioni e i riavvicinamenti, la tenerezza e le violenze, e il coming of age di questo bambino che non vuole rimanere tale per sempre e che vuole marcare la propria strada e la propria individualità sia rispetto ai suoi genitori sia rispetto ai suoi fratelli.
Perché diventare grandi vuol dire “rinascere” per diventare sé stessi (e Jonah a un certo punto del film si infila nella tomba scavata dal padre in mezzo al fango e ai vermi per uscirne diverso), e tutto questo al di là delle aspettative di chi ci vuole bene e dei modelli che abbiamo ricevuto. Perché ognuno di noi è una persona diversa da tutte le altre e – pur nella continuità del patrimonio genetico che si porta appresso – ha il diritto di rivendicare la sua unicità e la sua differenza anche rispetto a coloro cui il sangue lo lega.
Il film di Zagar è uno spaccato interessante su un mondo che – pur essendo così vicino geograficamente a quello dinamico ed evoluto della metropoli – resta invece marginale e per certi versi arcaico, ma che accanto a forme di solitudine e di squallore riesce anche a distillare forme di purezza e bellezza del tutto dimenticate.
Voto: 3,5/5
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