Nella cinematografia francese il tema dell'istruzione e della scuola è un filone piuttosto consolidato che ha prodotto lavori molto interessanti. Tra gli altri ricordo qui in particolare La classe di Laurent Cantet e La schivata di Abdellatif Kechiche.
In questo filone si inserisce anche il film di Olivier Ayache-Vidal, Les grands esprits, trasformato dai nostri geniali distributori in un titolo che sembra fare concorrenza alle commedie trash degli anni Settanta, Il professore cambia scuola.
Il film ha come protagonista François Foucault (Denis Podalydès), un professore di letteratura - figlio di un famoso scrittore - che insegna nel prestigioso liceo Enrico IV nel centro di Parigi. François è appassionato del proprio lavoro, che svolge con grande professionalità e vive come una vera e propria missione. In occasione della presentazione di un libro del padre, si trova a commentare sulla necessità di destinare alle scuole suburbane insegnanti con maggiore esperienza e per questo, a seguito di un incontro presso il Ministero della pubblica istruzione, gli viene chiesto se è disponibile a svolgere la propria attività presso una di queste scuole per un anno scolastico, al fine di promuovere una politica nuova che il Ministero vorrebbe lanciare.
Non del tutto convinto, François decide di accettare la sfida e si ritrova a insegnare in una scuola in cui la quasi totalità della classe è formata di studenti di altre provenienze etniche, immigrati di seconda generazione con grosse carenze formative e non solo, mentre il corpo insegnanti è costituito da giovani alle prime armi, che oscillano tra la frustrazione, la disperazione e la rassegnazione, una scuola nella quale i problemi si risolvono a colpi di consigli di disciplina e di espulsioni.
François, che all'inizio pensa di poter applicare il suo metodo anche nella nuova scuola, dovrà invece cambiare più volte il suo approccio, accogliendo gli insegnamenti che arrivano dai suoi colleghi, in particolare dalla giovane insegnante di storia e geografia, e anche entrando nel mondo dei suoi allievi, di cui dovrà comprendere le necessità e le aspirazioni.
Quella di Ayache-Vidal - pur con un approccio sicuramente semplificato e semplicistico, ai limiti della favoletta buonista in alcuni momenti - è una riflessione interessante sui compiti della scuola e sul ruolo che questa può svolgere per dare ai ragazzi nelle situazioni più svantaggiate una prospettiva di futuro, oltre che una amara considerazione sul fatto che il sistema scolastico è strutturato in modo tale da favorire un circolo vizioso, per cui chi è già avvantaggiato per provenienza ed estrazione sociale ha le migliori condizioni e opportunità per andare ancora più avanti, mentre chi già viene da situazioni difficili deve accontentarsi di una scuola e di un insegnamento di serie B che non gli offre alcuna occasione di affrancarsi.
La tendenza delle scuole a diventare ghetti o enclave privilegiate è una realtà in molta parte del mondo occidentale e certamente è alla base di molti problemi delle nostre società.
Il film di Ayache-Vidal riesce a dribblare il rischio di un eccesso di retorica, pur raccontando una storia che è di buoni sentimenti e che punta - entro certi limiti - al lieto fine.
Voto: 3/5
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