Quello raccontato da Carlo G. Gabardini, l'autore del testo da cui è tratto questo spettacolo, è un Winston Churchill ormai alla fine della sua lunghissima vita (morì a 90 anni). Appesantito nel fisico e nell'animo, malato, ostaggio dei propri vizi (il sigaro, l'alcol, le droghe), l'uomo Winston ci mostra sul palco i suoi umori altalenanti, l'ammirazione per l'indipendenza del suo gatto, i traumi del passato, il difficile rapporto con i genitori, l'amore per le citazioni, in un duetto con la sua infermiera che oscilla tra il giocoso e il sarcastico.
In questa sua dimensione di decadimento, che a tratti indispone e a tratti suscita pietà e commozione, irrompe però in maniera talvolta prepotente Churchill, lo statista che è stato protagonista indiscusso della storia mondiale del Novecento: attraverso la sua memoria entriamo in contatto con il Churchill che ebbe un ruolo determinante durante la seconda guerra mondiale nella resistenza della Gran Bretagna a Hitler e nella successiva vittoria degli alleati, ma anche quello che andò incontro a grandi fallimenti come la campagna di Gallipoli, che causò la morte di migliaia di giovani.
Pur all'interno di un carattere assertivo e consapevole del suo ruolo, Winston non può sfuggire ai tormenti determinati dalle sue azioni e dalle decisioni che ha dovuto prendere nell'esercizio della sua funzione pubblica.
Ne emerge una figura controversa e sfaccettata, adorabilmente ironica e detestabilmente sarcastica, che non a caso è stata oggetto di grandi critiche e altrettanto grandi elogi.
In una scenografia in cui, all'interno di una collinetta dal fondale quasi lunare circondata da un cerchio di luci, si trovano pochi oggetti - una poltrona, un telefono, una radio - Giuseppe Battiston presta il suo corpo e la sua voce a un Winston Churchill che ha in parte dismesso gli abiti dello statista, ma che da un lato ne conserva tutta l'arroganza e dall'altro dimostra tutta la sua fragilità umana. La brava Maria Roveran regge molto bene il confronto e conferisce con il suo canto un ché di poetico alla messa in scena, che invece per altri versi è scossa da rotture visive e sonore determinate dagli inserti di musica rock e di luci da cabaret.
Il testo di Gabardini, portato in scena per la regia di Paola Rota, si inserisce nell'ormai ricco filone di lavori di riscoperta del personaggio di Winston Churchill (si pensi al film L'ora più buia, ma anche indirettamente al Dunkirk di Nolan), però lo fa in maniera originale e senza cedere alla retorica.
Voto: 3/5
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