Peter Pan guarda sotto le gonne, 26 gennaio 2019
Stabat Mater, 29 gennaio 2019
Un eschimese in Amazzonia, 2 febbraio 2019
La trilogia sull'identità è la storia di una ricerca che riguarda tutti: quella del proprio posto nel mondo, con la propria individualità e la difficoltà di adattarsi alla tendenza della società a ragionare per categorie definite e dai confini angusti.
Che poi in questi tre capitoli il tema sia declinato in riferimento all'identità di genere dipende soltanto - come ci dice l'autrice e regista Liv Ferracchiati - dal fatto che questo è un mondo e una sensibilità che lei conosce in prima persona e ha avuto modo di approfondire attraverso numerose occasioni e molteplici contatti.
Lo stile nei tre capitoli è piuttosto uniforme: ci troviamo di fronte a un teatro di parola, in cui il palcoscenico tende a essere spoglio e la scenografia minimale, mentre la narrazione spezza la linearità per farsi flusso di coscienza destrutturato, ma non per questo meno coinvolgente.
E però tra le tre rappresentazioni ci sono le dovute differenze, frutto del procedere di questo percorso di ricerca che rispecchia momenti ed età della vita diversi.
Peter Pan guarda sotto le gonne è dedicato a quella delicata età che è il passaggio dall'infanzia all'adolescenza: come Peter Pan, la nostra protagonista è perfettamente a suo agio nel suo involucro infantile che la protegge dalla necessità di scegliere da che parte stare nel mondo, e dunque non vuole crescere. Il punto di rottura sarà il momento in cui si ritroverà al parco a giocare a pallone con il vestito rosa che le hanno regalato i suoi genitori e incontrerà una ragazzina poco più grande di lei che rappresenterà il suo sguardo sul futuro che l'attende. In questo buffo e commovente rapporto a due si inseriscono di tanto in tanto da un lato le voci dei genitori che vedono solo quello che vogliono vedere, dall'altro Tinker Bell, una bizzarra fatina che l'aiuta a guardare con sincerità dentro di sé. Compare così in scena - come un'ombra della protagonista - un giovane nel quale si intravede la sua vera identità o forse una prospettiva futura.
Bravissimi gli attori, le tre donne Linda Caridi, Chiara Leoncini e Alice Raffaelli e la silenziosa ombra interpretata da Luciano Ariel Lanza.
Le stesse tre attrici ritornano protagoniste nel secondo capitolo della trilogia, Stabat Mater, un testo più narrativo che non a caso si sviluppa dentro un palcoscenico più affollato. Il protagonista della storia, Andrea, è ormai cresciuto e indipendente; è fisicamente una donna ma si percepisce, si comporta, vive e si fa percepire e appellare dagli altri al maschile; ha una storia con una donna, forse sta iniziando un percorso di transizione. Intanto va da una psicologa per sciogliere i nodi ancora irrisolti, primo fra tutti quello con la madre, presenza quest'ultima solo virtuale (la si vede solo in video) ma molto ingombrante sia per le dimensioni del video sia per l'onnipresenza spesso inopportuna, favorita dalla dipendenza di Andrea. In questo secondo capitolo la sessualità e il desiderio sessuale sono al centro della narrazione con un linguaggio esplicito e diretto, veicolo della costruzione di un'identità da parte di un protagonista che oscilla tra un'innata seduttività e una profonda insicurezza e fragilità
Il terzo capitolo, Un eschimese in Amazzonia, sposta ulteriormente l'asse della narrazione in uno spazio sempre più ampio: se nel primo capitolo il protagonista si rapportava solo con la propria famiglia e l'amica del cuore e nel secondo con la madre e le donne amate, in questo caso il rapporto è direttamente con il pubblico. Nei panni del protagonista la stessa Liv Ferracchiati con un microfono in mano: i suoi interlocutori sono appunto il pubblico e una specie di coro, quattro persone (tre donne e un uomo) che lo interrogano all'unisono e lo incalzano in ogni sua esternazione, un simulacro della società tutta con cui il nostro eschimese deve fare i conti. Ma di strada ne è stata fatta e il protagonista, pur con tutte le sue incertezze e difficoltà, ha trovato la sua forma incerta e mutevole, si è faticosamente costruito un'identità ed è pronto - anche con la giusta dose di ironia - ad affrontare perplessità e domande e a trasformare il corpo monolitico del coro in persone con una loro identità individuale, altrettanti tasselli del suo percorso in divenire.
Una trilogia che i più chiusi di mente leggeranno secondo un'unica chiave interpretativa e considereranno un prodotto di nicchia, ma che a chi si lascerà andare ai testi della Ferracchiati potrà parlare in mille modi diversi rivelando la sua forza universale.
Ottima tutta la Compagnia Baby Walk che a questo punto aspettiamo alle prossime prove.
Voto: 4/5
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