Ormai io e F. ci possiamo dire fans di Giovanni Sollima e tendenzialmente non ci perdiamo - se possibile - alcuna delle sue performance romane.
Questa volta il concerto è organizzato al teatro Argentina dall'Accademia Filarmonica Romana, un'accademia benemerita per le iniziative musicali che organizza nella capitale.
Sollima porta sul palco il suo 'format' - come lo chiama lui stesso pur riconoscendo che si tratta di un brutto termine - denominato Ba-rock cello, una specie di percorso musicale dal barocco al rock attraverso il violoncello.
La serata inizia con una breve intervista a Sollima da parte di Valerio Sebastiani di Quinte Parallele, intervista che è anche contenuta nell'opuscolo del programma di oggi. Sollima ci spiega il senso di questo progetto e che cosa avvicina la musica antica a certe sperimentazioni della musica rock; a seguire ci racconta il programma della serata e le variazioni d'ordine che intende fare.
Si inizia e si chiude con delle composizioni dello stesso Sollima, i quattro movimenti del Concerto rotondo in apertura e la Lamentatio in chiusura, musica nella quale si sentono echi delle sonorità della Sicilia e del Mediterraneo più ampio. A seguire è previsto il Capriccio n. 1 di Giuseppe Dall'Abaco, un musicista del Settecento per me quasi sconosciuto, ma che - come ci spiega Sollima - ha composto 11 capricci molto belli e ha lasciato incompiuto il dodicesimo, su cui il maestro sta facendo un progetto apposito.
A questo punto fa capolino la musica rock con i Nirvana di About a girl. Subito dopo Sollima ci propone il confronto diretto tra la famosissima Suite n. 1 BWV 1007 per violoncello solo di Bach (con i suoi sette movimenti) e il pezzo dei Genesis Horizons che al pezzo di Bach si ispira e da cui prende in prestito la sequenza musicale più famosa.
A metà del programma il maestro ci propone la sonata 1959 di suo padre Eliodoro Sollima, morto nel 2000, di cui nell'intervista iniziale ci ha raccontato la storia, ossia che lui stesso scoprì questo spartito tra le carte del padre quando era ancora vivo e seppe che l'aveva composto per un concorso a cattedra ma lo considerava 'munnizza'. Ebbene il figlio lo ha eseguito poi a Parigi e ovunque e lo ha fatto incidere.
Nell'ultima parte del programma è prevista la canzone Angel di Jimy Hendrix, il Concert Etude op. 10 n. 4 di Bernhard Cossmann (altro musicista, questa volta ottocentesco, per me sconosciuto!), quindi una pazzesca versione al violoncello di un pezzo heavy metal degli Slayer dal titolo Raining blood, con cui - come dice Sollima - fa urlare il violoncello sulla base di un arrangiamento che ha scritto in treno.
Al termine del programma, il maestro non si fa pregare per concedere il bis e torna sul palco per ben tre volte, la prima con un assaggio del Fandango di Boccherini, la seconda con una sua composizione (o almeno così crediamo!), la terza con un brano di Francesco Corbetta, un compositore e chitarrista seicentesco che questa volta lo stesso Sollima ammette essere sconosciuto (così almeno mi sento meno ignorante!).
Come abbiamo già avuto modo di apprezzare in altre circostanze, la forza di Sollima sta da un lato nella sua umiltà e affabilità che diventano strumento di comunicazione e di relazione con il pubblico, dall'altro nella sua straordinaria maestria di musicista, capace di farsi tutt'uno con il suo strumento, suonando non solo con le mani e l'archetto ma con tutto il corpo, e utilizzando tutte le parti e i modi - anche quelli meno canonici - per far suonare il violoncello. È anche impressionante il fatto che Sollima non abbia praticamente mai bisogno di spartito, immergendosi in ogni composizione come se non avesse mai suonato nient'altro, e conferendo a ogni esecuzione un'interpretazione unica e riconoscibile.
Voto: 4/5
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