Approfittando di un weekend romano di metà agosto e di una città in parte svuotata e in parte ancora attiva recupero alcune mostre fotografiche che volevo vedere già da un po'.
Vado innanzitutto alla mostra L'altro sguardo. Fotografe italiane 1965-2018, in programmazione al Palazzo delle Esposizioni fino al 2 settembre.
La mostra offre allo spettatore la visione di oltre 200 fotografie che provengono da una collezione privata, quella di Donata Pizzi.
L'esposizione propone le opere di oltre 70 fotografe, alcune molto conosciute come ad esempio Letizia Battaglia, e molte altre per me quasi sconosciute.
Le fotografie si articolano in quattro sezioni, corrispondenti sostanzialmente ad altrettanti spazi del museo (salvo l'ultima sezione che occupa due salette): la prima sala è dedicata alla fotografia di reportage e di denuncia sociale (Dentro le storie); la seconda ai rapporti tra immagine fotografica e pensiero femminista (Cosa ne pensi tu del femminismo?); la terza ai temi legati all’identità e alla rappresentazione delle relazioni affettive (Identità e relazione); e le ultime due alle ricerche contemporanee basate sull’esplorazione delle potenzialità espressive del mezzo (Vedere oltre).
L'occasione è interessante per conoscere fotografe e artiste poco conosciute e per incuriosirsi alla loro opera, e certamente ciascun visitatore troverà fotografie e serie fotografiche che risuoneranno con la propria sensibilità.
Devo però osservare un certo minimalismo dell'apparato esplicativo della mostra. Ciascuna sezione è infatti sì introdotta da un pannello descrittivo, ma delle numerose fotografe non abbiamo coordinate biografiche e artistiche, cosicché tocca di volta in volta cercare su Internet per avere maggiori informazioni. Io l'ho dovuto fare più volte e per esempio ho cercato confermare che le foto sugli istituti psichiatrici di Carla Cerati appartenessero al medesimo lavoro portato avanti da Gianni Berengo Gardin e confluito nel volume Morire di classe. Vero è che all'ingresso della mostra c'è la possibilità di seguire un video che la introduce, ma si tratta di un video parecchio lungo e che procede in loop, dunque quasi sempre lo si comincia a seguire a metà strada e non essendo le fotografe identificabili da scritte in sovraimpressione la decifrabilità resta bassa, nonostante l'interesse per quello che si guarda. Si aggiunga inoltre che molte fotografie in mostra fanno parte di serie o lavori fotografici più ampi e, non avendo finalità di carattere estetico, risultano poco leggibili nel momento in cui sono prese singolarmente.
Trattasi insomma di una mostra che sembra avere lo scopo più di suscitare delle curiosità che di soddisfarle al suo interno. Il che può anche essere una cosa positiva.
Il giorno dopo la mia meta è invece il Museo di Roma in Trastevere, dove tra l'altro approfitto per sottoscrivere la vantaggiosissima MIC, la carta che con soli 5 euro consente l'accesso illimitato a tutti i musei del Comune di Roma, e che è possibile ottenere se si è residenti, domiciliati o studenti a Roma. Una bella iniziativa (io l'avrei fatta pagare anche un pochino di più!) che spero potrà proseguire nei prossimi anni.
Al Museo di Roma in Trastevere sono in corso tre mostre. Al piano terra c'è quella più grande, Dreamers. 1968: come eravamo, come saremo. Si tratta - come esplicita il titolo - di una mostra dedicata al '68 (italiano fondamentalmente) in occasione del cinquantesimo anniversario. Se si riesce a sopravvivere indenni alle zanzare e al caldo (i condizionatori funzionano in minima parte e il museo si è dovuto dotare di ventilatori!), la mostra si rivela interessante: utilizzando fotografie documentarie dell'epoca, video, riproduzioni di prime pagine di giornali, oggetti e pannelli ci racconta un'epoca che appare per certi versi lontana e sconfitta, ma che ci si rende conto essere stata densa di possibilità e di stimoli per il futuro, pur nelle sue contraddizioni. La mostra è anche l'occasione per raccontare l'Italia di quegli anni nella sua più ampia dimensione sociale, politica ed economica.
Al secondo piano del Museo si trovano altre due piccole mostre fotografiche.
La prima è Josef Sudek: Topografia delle macerie. Praga 1945, una mostra che utilizza una selezione delle fotografie del grande fotografo ceco per raccontare la città di Praga all'indomani delle ferite inferte sul suo tessuto urbano dalla guerra. Una mostra di carattere principalmente documentaristico, che però in alcuni scatti fa intravedere la capacità di Sudek di far emergere il lato tristemente romantico della città.
La seconda mostra è dedicata a Sylvia Plachy (When will it be tomorrow), fotografa ungherese per me sconosciuta (e scopro grazie alla mostra che è la madre dell'attore Adrien Brody, ritratto infatti in numerose delle sue fotografie). Devo dire che sul piano strettamente fotografico questa è la mostra che mi affascina di più; lo stile della Plachy mi intriga con le sue fotografie dai formati originali (molto belle quelle in verticale, strette e alte) e dai soggetti vari, ma accomunati da una specie di ricerca di un secondo livello di lettura, una sorta di significato nascosto, che si nasconde nelle pieghe dei volti di animali ritratti in primissimo piano ovvero in scene che appartengono alla vita quotidiana ma che acquistano quasi un carattere metafisico. Molto belle.
Voto: 3,5/5
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