La strada del ritorno è sempre più corta / Valentina Farinaccio. Milano: Mondadori, 2016.
Il mio incontro con questo libro è stato assolutamente casuale, e la mia scelta di comprarlo e di leggerlo si è basata su pochissimi elementi relativi alla trama (una storia familiare e – come si sa – le storie familiari mi attirano moltissimo) e all’ambientazione (quel Molise semisconosciuto che prima o poi dovrò visitare).
E come spesso accade per gli incontri casuali, questo libro mi ha conquistata, tenendomi incollata alle sue pagine e regalandomi emozioni molto intense.
La storia è quella di Vera e di quella maledetta estate in cui aveva cinque anni e suo padre Giordano morì dopo una orrenda malattia fulminante. E soprattutto è la storia di Vera ormai adulta e della necessaria ricostruzione di quella memoria, a partire da quanto di vero e di falso c’è in un manoscritto lasciato incompiuto da Giordano.
Nel libro di esordio di Valentina Farinaccio ci sono tanti personaggi e tanti sentimenti: non solo Giordano e Lia, sua moglie e madre di Vera, ma anche le nonne Santa e Clelia, gli zii Carlo e Camillo, i nonni - Gesualdo, quello andato via di casa, e il nonno materno che fa il camionista - oltre a tutta una serie di figure di contorno, che alla fine si rivelano determinanti per la storia.
I primi due terzi del libro sono fulminanti. Con una semplicità sconcertante dicono delle cose forti che toccano nel profondo al punto tale che io ho dovuto più volte chiudere il libro e sospendere la lettura, per evitare l’apnea emotiva.
Non so dire esattamente quale dei tanti aspetti mi abbia colpito di più: se l’amore grande e complesso tra Lia e Giordano, spezzato dalla malattia di quest’ultimo, se l’ingenuità e la freschezza di Vera bambina con il suo amico immaginario Ringo Starr, se l’intreccio dei rapporti con gli altri componenti della famiglia, se il dolore di Vera adulta che è stata appena lasciata da quello che considerava l’uomo della sua vita.
Il fatto è che c’è qualcosa di struggente nel racconto di Valentina Farinaccio, quell’insieme di leggerezza, ironia, malinconia e dolore che attraversa la vita di tutti, ma che rende ogni vita unica.
Le pagine si illuminano di tanto in tanto di verità lampanti, ma che diventano evidenti solo quando prendono forma nella scrittura. E d’altra parte il libro della Farinaccio è anche un omaggio al potere della scrittura, alla sua capacità trasformare la realtà, a volte occultandola, altre volte svelandola in maniera ancora più piena.
Peccato per gli ultimi capitoli del libro, che secondo me non sono all’altezza delle pagine precedenti. La scrittrice crea un’attesa eccessiva di una rivelazione che in realtà non regge le aspettative e che fa virare il romanzo verso un’atmosfera grottesca, che non è certamente il registro più riuscito del libro.
Questa parziale delusione in coda di lettura ridimensiona in parte l’impatto emotivo potente di questo romanzo, che resta in ogni caso un esordio a tratti folgorante e in buona parte riuscito.
Voto: 3,5/5
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