La grandezza di un'attrice si riconosce quando - all'apertura del sipario - stando di spalle e in silenzio e facendo solo pochi movimenti del corpo riesce già a trasmetterti l'identità del suo personaggio.
Questa è la straordinaria Maria Paiato protagonista di Stabat mater, il monologo scritto da Antonio Tarantino, il cui titolo è preso a prestito dall'opera di Pergolesi e che racconta di una Maria dei bassifondi.
Siamo presumibilmente negli anni Settanta, a Torino. Maria Croce è una prostituta e straccivendola, greve nei modi e nel linguaggio, madre di un figlio il cui padre è sposato con un'altra, quel famigerato Giovanni che fa il gradasso ma in realtà è totalmente assente e inaffidabile.
Maria ha tirato su suo figlio da sola, a Simmenthal e Nutella, questo figlio che tutti le dicono che ha una gran testa ma a cui lei non sa in alcun modo come garantire un futuro e nemmeno quale.
Questo figlio, fidanzato con Maddalena delle case popolari, finirà in galera invischiato in azioni probabilmente terroristiche, e Maria non sa a chi rivolgersi per salvarlo, per evitargli una brutta fine.
Maria Croce è una donna semplice, ma certo non stupida, abituata a fare i conti con la realtà e a cavarsela da sola, ammiccante verso l'interlocutore, logorroica, debordante, sguaiata, politicamente scorretta, iterativa quasi a voler convincere se stessa prima ancora che gli altri. Non sta ferma un attimo in questa scenografia minimale (realizzata dal sempre bravo Alessandro Chiti) che si compone di una specie di pedana circolare in legno e ferro, rispetto alla quale Maria sta a volte all'interno, quasi prigioniera, altre volteci si arrampica, ci passeggia sopra, ci si stende, si dà in pasto al pubblico.
Maria è un personaggio quasi grottesco, tragicomico, e al contempo dolente, che suscita compassione e insieme alimenta un senso di superiorità dell'interlocutore che ne riconosce gli errori linguistici e la grevità e ne ride, sapendo di appartenere a un mondo diverso.
Ma in fondo quella Maria è anche l'espressione della nostra cattiva coscienza che non ha ricette per recuperare questa donna e la sua vita, e che - abbandonando lei (e tutte le donne come lei) - accetta di vedere persa anche la vita di suo figlio.
Il testo di Tarantino non ha un momento di respiro o di stanchezza, non si vergogna di nulla, non cerca compromessi, ci viene sbattuto in faccia come la mercanzia di Maria. E la Paiato non si sottrae ad esso, lo accetta in pieno, lo incamera nel corpo, nei movimenti, negli sguardi in un modo che ha del sorprendente.
Ogni volta che vedo Maria Paiato a teatro penso: "Beh, sì, è bravissima, ma questo è proprio il personaggio che le calza a pennello". Però quando si giunge alla conclusione che qualunque personaggio le calzi a pennello evidentemente bisogna prendere atto di essere di fronte a una grandissima attrice.
E in Stabat mater la Paiato è decisamente da standing ovation.
Voto: 5/5
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