Leila (Mouna Hawa) e Salma (Sana Jammelieh) sono due ragazze arabe che vivono a Tel Aviv. La loro vita in città scorre tra il lavoro (la prima fa l’avvocato e la seconda lavora come aiuto-cuoca in un ristorante e fa la dj) e le serate con gli amici, tra alcol, musica, droghe e chiacchiere. Leila e Salma sono due donne libere e indipendenti, ma – come tutte – cercano l’amore.
Un giorno nel loro appartamento arriva come nuova coinquilina Noor (Shaden Kanboura), una ragazza musulmana praticante che indossa il velo e ha un fidanzato altrettanto religioso.
La convivenza inizialmente non sarà facile, ma ben presto sarà chiaro a tutt’e tre che la distanza tra di loro è molto meno di quanto non appaia in un mondo in cui la donna si trova in una posizione di svantaggio, sia che decida di seguire le regole sociali come Noor, sia che decida di fregarsene come Leila e Salma.
Noor sperimenterà l’ipocrisia e la violenza dell’ortodossia religiosa, Salma il rifiuto della famiglia quando scopre che è lesbica, Leila l’impossibilità di rimanere se stessa se vuole avere un marito e una famiglia.
Tre donne bellissime, ognuna a suo modo, a cui si vuole bene durante tutto il film e per cui si fa il tifo, consapevoli fin dal principio che la sconfitta sociale sarà inevitabile perché queste donne hanno solo se stesse e la loro amicizia, che però sono il loro tesoro più grande.
L’opera prima di Maysaloun Hamoud è evidentemente un manifesto politico, un film a tesi, che vuole raccontare la forza dei condizionamenti sociali di cui le donne arabe sono vittime persino in una città con uno stile di vita fortemente moderno e occidentale come è Tel Aviv.
Il film non è un capolavoro di originalità e, dopo che avrete visto il trailer, saprete perfettamente cosa aspettarvi sia dal punto di vista dei contenuti, sia dal punto di vista del linguaggio narrativo (che si muove tra dramma e commedia). Però il film certamente contribuisce a gettare uno sguardo sincero e partecipe su una realtà che probabilmente intuiamo ma che non conosciamo davvero.
A me personalmente poi piace molto vedere questi film (che forse sarebbe ancora meglio vedere in lingua originale e magari senza questi titoli italiani davvero un po' ridicoli), anche perché trovo interessante il confronto tra lo stile narrativo della cinematografia mediorientale e il nostro, un confronto che probabilmente riflette i modi della costruzione linguistica e dunque concettuale di questi due mondi culturali. Forse è una mia fantasia, ma la mia sensazione è che, rispetto alla nostra narrazione molto fluida, consequenziale e fortemente esplicativa, in questi film prevalga un andamento più discontinuo, sintetico, quasi sincopato, il che non ha niente a che fare con un giudizio di valore, bensì semplicemente di differenza. E le differenze a me incuriosiscono ed entusiasmano.
Voto: 3,5/5
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