Ed eccomi all’ultimo film del mio personale Rendez Vous con il nuovo cinema francese.
È una luminosissima domenica pomeriggio di aprile e io sono ancora una volta al Fiamma per vedere in questo caso un documentario di Raymond Depardon, non solo regista cinematografico, ma anche fotoreporter (e si vede! Poi vi dirò in che senso).
La sua voce fuori campo ci spiega, sulle prime immagini del film, che questo lavoro nasce dalla sua decisione di risistemare una vecchia roulotte e attrezzarla con telecamera e microfoni e di andare in giro per la Francia, da Nord a Sud, da Est a Ovest, fermandosi nelle piazze, nei giardini e nelle strade dei paesi e delle città, per raccontare la Francia e i francesi in presa diretta.
In pratica la sfida di Depardon è far continuare le conversazioni che avvengono per strada intorno a un tavolo all’interno della roulotte, senza interferire con domande o altro, ma solamente lasciando che le persone si facciano trasportare dal dialogo tra di loro.
Una specie di esperimento sociologico, che ovviamente per la sua non scientificità e per il metodo prescelto non è rappresentativo di nulla se non di quello che mostra sullo schermo, ma che certamente getta uno sguardo realistico su dinamiche e rapporti declinati in vari modi (amiche, amici, mariti e mogli, fidanzati, padri e figli, madri e figli, giovani, ragazzini, adulti, anziani, bianchi, neri, mediorientali). La situazione potrà sembrare artificiosa, ma come accade per il fotografo che più sta in un luogo più diventa invisibile e dunque riesce a coglierne lo spirito, così – nel caso di Les habitants – queste conversazioni, che a volte iniziano imbarazzate, progressivamente si sciolgono e diventano davvero spontanee e realistiche.
In queste conversazioni a due si parla di tutto: della difficoltà dei rapporti di coppia, della religione, degli immigrati, del sesso, delle paure, delle aspirazioni, della guerra tra i sessi, delle difficoltà della vita, della solitudine, dell’amore, dell’amicizia, della società. Cosicché ne viene fuori sì un ritratto della società francese di oggi, ma forse più in generale un ritratto della società occidentale contemporanea, perché non facciamo fatica a riconoscere in questi frammenti di dialoghi situazioni che avremmo potuto vivere o ascoltare anche da noi.
Dal punto di vista strettamente cinematografico la scelta di Depardon è molto rigorosa e in un certo senso rispecchia il suo approccio da fotoreporter. Si alternano infatti tre tipi di immagini: il girato della roulotte vista alle spalle che attraversa le strade e i paesi, l’immagine fissa della roulotte vista di fianco parcheggiata nel paese in questione, il girato delle due persone sedute al tavolo della roulotte vicino al finestrino che parlano tra di loro. Tendenzialmente, salvo pochissime eccezioni (che devo dire un po’ interrompono il flusso ordinato del documentario) il frammento di conversazione che ci viene mostrato non ha montaggio, bensì è uno scambio continuo tra i protagonisti che il regista decide di proporci per intero.
Un’operazione quella di Depardon decisamente bizzarra, ma che - devo ammettere - su di me ha esercitato un certo fascino, al punto tale che al nero dello schermo dopo l’ultima conversazione a due sono rimasta quasi interdetta perché a quel punto ne avrei ascoltate molte di più!
Voto: 3/5
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