Il corso dell’amore / Alain de Botton; trad. di Elisa Banfi. Milano: Guanda, 2016.
Probabilmente molti conoscono de Botton per la serie di video School of life che vengono pubblicati periodicamente sul sito dell'Internazionale. Se siete dei fedelissimi di questi video, probabilmente anche molti dei contenuti e delle riflessioni presenti in questo libro non vi sorprenderanno.
Diciamo che la differenza in questo caso sta nel fatto che ci troviamo di fronte a un romanzo.
Il corso dell'amore è infatti la storia di Rabih e Kirsten, raccontata prevalentemente dal punto di vista di Rabih; in particolare de Botton ci dice come la loro storia d'amore è nata, è cresciuta, li ha portati al matrimonio e a fare dei figli. L'obiettivo esplicito fin dal principio è mostrare - cosa che di solito la letteratura e le arti non fanno - il "corso" dell'amore e non solo il suo inizio, che spesso viene confuso o volutamente presentato come l'amore tout court. È infatti solo mostrando questo "corso" che - secondo l'autore - si capirà quanto una relazione duratura e monogamica tra due persone sia complicata e molto meno "naturale" e "istintiva" di quanto siamo portati a pensare.
A dire la verità, quello di de Botton è un romanzo sui generis, visto che è evidente fin dal principio che la fiction è puramente funzionale a una riflessione psicologica e sociologica. Probabilmente questo è l'aspetto più fastidioso del libro, dal momento che le vicende della vita di Rabih e Kirsten sono evidentemente una scusa per riflettere su temi più generali e universali e i due protagonisti sono al contempo straordinariamente veri ma anche profondamente falsi, in quanto piegati - sul piano evenemenziale più che su quello dei sentimenti - alle necessità dell'arringa di de Botton.
Questo aspetto potrebbe essere - per i lettori di romanzi "veri" - talmente irritante da far abbandonare la lettura; ma se si riesce ad entrare nelle intenzioni dello scrittore e nello spirito del libro, allora se ne potrà cogliere il vero potenziale per il lettore, ossia quello di riconoscersi - a volte parzialmente a volte totalmente - nei pensieri, nelle contraddizioni, nelle difficoltà affettive dei protagonisti.
Il corso dell'amore ci mette a nudo, sottraendo l'amore (non solo quello di coppia, bensì anche quello tra genitori e figli) a quel velo di superficiale romanticismo che soprattutto nell'ultimo secolo lo ha ricoperto, nonché a quell'aspettativa di connessione di anime, di complementarità automatica, di promessa di felicità "per sempre" che soprattutto negli ultimi decenni ha profondamente inquinato il nostro modo di vivere i sentimenti.
Siamo esseri complicati, in cui l'evoluzione biologica non è perfettamente allineata con quella sociale e in alcuni casi i bisogni del nostro sentire (e dunque del nostro cervello) sono in contraddizione gli uni con gli altri. L'amore, secondo de Botton, ha un corso che tende a ripetersi entro certi limiti sempre e per tutti, indipendentemente dalle persone coinvolte. Cosa che potrebbe destabilizzarci al punto da farci rifiutare questa idea o, in fondo, rasserenarci nell'idea che non siamo sbagliati, o se siamo sbagliati, allora siamo tutti sbagliati e tutti un po' folli.
Dunque l'amore è una scelta, sempre, e come tutte le scelte talvolta è dolorosa, talvolta è liberatoria, talvolta è piacevole, ma comporta sempre di lasciare da parte - almeno temporaneamente - ciò che non abbiamo scelto.
Voto: 3,5/5
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