Eccomi / Jonathan Safran Foer; trad. di Irene Abigail Piccinini. Milano: Guanda, 2016.
Aspettavo con grandissima ansia l’uscita del nuovo libro di Jonathan Safran Foer. Non che avessi letto i suoi precedenti: avevo visto al cinema il film tratto dal suo libro Ogni cosa è illuminata e ho a casa Molto forte, incredibilmente vicino, che però non ho ancora letto.
Però, leggendo la trama di questo nuovo romanzo e alcune recensioni pre-uscita, avevo grandi aspettative. Ora, sarà che l’ho iniziato a leggere quando le vacanze erano finite e dunque con sempre meno tempo a disposizione e in serate in cui dopo poche pagine gli occhi mi si chiudevano irrimediabilmente, sarà che comunque parliamo di un libro di oltre 650 pagine, ma devo confessare che ho fatto una fatica micidiale ad arrivare alla fine, sopportandolo sempre meno man mano che le pagine scorrevano sotto i miei occhi.
Eccomi è la storia di Jacob, un ebreo newyorkese che ha una moglie, Julia, e tre figli, Sam, Max e Benji. Del suo universo familiare e affettivo fanno parte anche i suoi genitori, Deborah e Irv, e suo nonno Isaac.
Jacob è in crisi con sua moglie, e molti segnali dicono che il loro matrimonio sta per finire.
Contemporaneamente, però, accadono molte altre cose di portata ben maggiore; un terribile terremoto in Israele e una successiva guerra che Israele combatte contro il MedioOriente.
Alla fine di tutto questo, niente sarà più lo stesso, o forse tutto sarà esattamente come prima.
Che dire di questo libro? Per il primo centinaio di pagine ho continuato a pensare che Safran Foer, ormai scrittore riconosciuto e consumato, stesse misurandosi con i grandi della letteratura americana. A me è venuto in mente Franzen, ma solo perché non è moltissimo tempo che ho finito di leggere Le correzioni. Ma certamente credo che un altro nome possibile da fare potrebbe essere quello di Philip Roth.
La scrittura sofisticata – non tanto dal punto di vista lessicale, quanto dal punto di vista della costruzione narrativa – scelta dall’autore, nonché il tema della famiglia americana in crisi, non possono non richiamare alla mente alcuni illustri esponenti del romanzo americano contemporaneo.
D’altra parte, però, mentre continuavo a leggere il romanzo, non potevo fare a meno di pensare di stare leggendo la versione letteraria di alcuni film di Woody Allen, e non solo per l’ambientazione (quella delle famiglie ebree newyorkesi), ma anche per l’approccio tra l’arguto e l’ironico che caratterizza fortemente queste pagine.
Nelle ultime duecento pagine, dopo aver avuto ampi saggi di arguzia stilistica e concettuale, ho cominciato a pensare che Eccomi è il libro di uno scrittore che si avvicina ai quarant’anni e che comincia ad avvertire i primi segnali di un’età di transizione, in cui tanto è stato fatto ma altrettanto ancora ci potrebbe essere davanti.
Il risultato alla fine è stato – per quanto mi riguarda – un sostanziale fastidio. Non ho amato nessuno dei personaggi: non Jacob nella sua umana pusillanimità, non Julia nel suo insopportabile perfezionismo, non i tre ragazzini, che pure sono il contrappunto ironico-saggio di tutto il libro e sono i veri portatori di quelle perle di saggezza di cui sono disseminate queste pagine… Il fatto è che, per essere ragazzini che vanno dai 7 ai 14 anni, Sam, Max e Benji sono un concentrato di intelligenza e di visione profonda, matura, arguta delle cose, che oltre a risultare del tutto irrealistico finisce per essere sinceramente fastidioso.
Il libro di Safran Foer mi ha fatto l’effetto prodotto dalla somma di un libro di Franzen e di un film di Woody Allen: cioè una combinazione di depressione e angoscia da un lato e di illuminazioni folgoranti all’interno di uno sproloquio quasi insopportabile dall’altro.
Quindi, se non vi sentite pronti ad affrontare queste impegnative 660 pagine che probabilmente non vi porteranno da nessuna parte, ma non volete perdervi i paragrafi e le pagine illuminanti, forse potete chiedermi in prestito la mia copia, dove – a penna o, quando ero gentile, a matita – ho segnato le cose memorabili. Che per me restano però annegate dentro un romanzo che forse è troppo yiddish perché io lo potessi comprendere appieno, o forse semplicemente troppo intelligente e troppo astruso perché io lo potessi apprezzare in questo momento.
Voto: 2,5/5
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