Sicuramente uno dei film più interessanti che ho visto alla Festa del cinema di quest'anno. E pensare che ero stata indecisa fino all'ultimo se comprare il biglietto!
Il tema mi era sembrato troppo duro e non sapevo se avevo voglia di vederlo, ma alla fine mi sono decisa. Non che il film non sia duro, a dire la verità è durissimo, in particolare per la violenza fisica e psicologica che racconta; ma la violenza non è gratuita bensì totalmente funzionale a raccontare in forma quasi documentaristica una realtà ben precisa.
Siamo in una bidonville che si sviluppa sulle pendici di un monte che guarda una grande città colombiana, probabilmente Medellìn. Amparo (Natalia Polo), una ragazza diciottenne fuggita dal collegio dove è rinchiusa, si rifugia a casa di sua sorella, che vive nella baraccopoli insieme a suo marito. Su di lei mette gli occhi un uomo ben noto nel quartiere, Libardo Ramirez (Tito Alexander Gomez), che tutti chiamano "l'animal".
L'animal - con l'aiuto di una donna - droga Amparo e poi la rapisce per stuprarla e per farne la sua donna. Un uomo che nessuno contraddice e a cui nessuno vuole mettersi contro in quanto capace di inaudita violenza insieme ai suoi compari.
Da qui comincia il vero e proprio - lunghissimo - calvario di Amparo, costretta a vivere con un uomo violento da cui ha una figlia e da cui viene poi costretta anche a prendersi cura del figlio che lui ha avuto e ha poi strappato a un'altra donna.
Amparo cerca in tutti i modi di ribellarsi e fuggire, ma la baraccopoli si rivela una vera e propria prigione dove vigono la legge del più forte, la violenza, il terrore, la guerra per bande e un maschilismo feroce, che costringe le donne a una vita di sottomissione agli uomini come compagne o come prostitute o di complicità a causa dell'ignoranza.
E nonostante tutto Amparo mantiene una dignità e un'umanità straorinarie e dimostra un istinto di sopravvivenza non comune in condizioni di vita estreme; cosicché, pur non essendo capace di sottrarsi alle angherie di suo marito e non avendo la forza di ucciderlo, aspetterà con pazienza fino al momento in cui la guerra tra bande rivali non ne determinerà la morte.
La mujer del animal è uno di quei film che io definisco necessari (pur con alcune sue rigidità narrative), perché credo che, pur vivendo in un mondo globalizzato, noi che abbiamo avuto la fortuna di nascere nella parte "migliore" (nel senso di "più facile" ) del mondo non abbiamo la più pallida idea di cosa significhi vivere in contesti di marginalità come quello che Víctor Gaviria racconta in questo film né cosa voglia dire essere donne in una società così violenta e maschilista. Ed è bene che qualcuno ogni tanto ce lo sbatta sotto gli occhi in modo rigoroso e duro per non farcelo dimenticare.
Voto: 4/5
La cosa che mi colpisce di più e che mi piacerebbe vedere è il modo in cui questa donna in tali misere condizioni sia riuscita a mantenere dignità e umanità, qualità che richiedono molta intelligenza emotiva e lavoro su se stessi rispetto ad un forte istinto di sopravvivenza forse più innato.
RispondiEliminaCome dici tu, l'istinto di sopravvivenza è più forte e quando la vita è in pericolo prevale, ma credo che nell'umanità - e questo film a tratti sembra confermarlo - esista anche un senso della propria dignità e un'idea innata di giusto e sbagliato che questa donna sembra tentare di seguire ogni volta che le è possibile.
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