Esche vive / Fabio Genovesi. Milano: Mondadori, 2011.
Al secondo libro che leggo di Fabio Genovesi (dopo il bellissimo Chi manda le onde) posso dire di essere definitivamente conquistata dal suo stile inconfondibile, che è un mix originale di modo di scrivere e contenuti narrativi, uno stile che forse a tratti si ripete in maniera anche un po' ossessiva da un libro all'altro ma che è un vero e proprio marchio di fabbrica.
Siamo sempre nella sua terra, quella che lui conosce molto bene e a cui è in grado di conferire un’epicità attraverso la scrittura che solo lo sguardo di uno scrittore può rivelare anche della realtà apparentemente più ordinaria.
Esche vive ha come protagonista innanzitutto il paesino di Muglione, in una piana in cui non c’è nulla delle tipicità e delle bellezze della campagna toscana, bensì solo i fossi che mandano cattivo odore. Qui si incrociano i destini di tre personaggi adorabili: Fiorenzo, un ragazzo di 19 anni che ha perso una mano a causa di un gioco con i petardi quando aveva 14 anni e ora vive con il padre appassionato di ciclismo e canta in una band heavy metal insieme ad alcuni amici; Mirko, il Campioncino, un ragazzetto che il padre di Fiorenzo ha scoperto in Molise e ha portato con sé a Muglione convinto di farne un campione di ciclismo; Tiziana, una trentenne tornata nel suo paese d’origine dopo un’esperienza all’estero e che ora gestisce un Informagiovani dove non va mai nessuno tranne un gruppo di vecchi del paese.
Esche vive è la loro storia dolceamara e tragicomica, come piace all’autore e come già avevo avuto modo di apprezzare in Chi manda le onde. Già qui lo scrittore utilizza quel registro narrativo (presente poi anche nel romanzo successivo) che mima fortemente il parlato, anche perché Fiorenzo parla in prima persona e Tiziana parla in seconda persona, come se si guardasse allo specchio. E anche tutto quello che è raccontato in terza persona dal narratore appare molto interno, una voce che a tutti gli effetti appartiene al medesimo contesto, che ne conosce la dimensione umana ed emotiva.
Mentre si legge questo libro si ride tanto e poi certe volte ci si commuove, anche tanto, e a questi ragazzi gli si vuole bene, anche quando dimostrano la loro ingenuità o stupidità, perché alla fine tutti siamo stati un po’ così, almeno una volta come almeno uno di loro, e dunque è impossibile non immedesimarsi.
Nei libri di Genovesi si respira quella sensazione di fatalità e insensatezza che domina la vita umana, e di fronte alla quale tutti siamo un po’ come i vermini per la pesca che Fiorenzo vende nel negozio del padre. Ci dibattiamo e ci strusciamo e facciamo a gara per arrivare alla superficie ma senza sapere che non c’è alcuna via d’uscita e niente da raggiungere fuori da quella vasca.
E però i libri di Genovesi non sono né deprimenti né pessimisti, perché pochi scrittori sono capaci come lui di far sentire le emozioni, i sentimenti, le gioie, le tristezze, gli imbarazzi, tutte quelle cose cioè che gonfiano la vita di quella bellezza struggente e incomprensibile.
Come poi farà in Chi manda le onde, Fabio Genovesi non solo guarda con affetto ai giovani, ma in qualche modo sembra volerci dire che quello è il momento della vita in cui abbiamo la possibilità di smontare le gabbie costruite e autocostruite nelle quali siamo finiti, e che a 14 anni, come a 19, e ancora a 30 (e in fondo secondo me a qualunque età) facciamo ancora in tempo a provare a essere felici con quello che abbiamo o a cercare che vogliamo. E che la vita è una lotteria, è vero, ma se non ci giochiamo niente, se non mettiamo nessuna esca all’amo, la pesca diventa solo un’attesa senza senso e senza speranza.
Tutti dovrebbero leggere almeno una volta nella vita un libro di Genovesi e ridere e sorridere ed emozionarsi per non disimparare a farlo o per imparare a farlo se ancora la vita non gliel’ha insegnato.
Voto: 4/5
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