Kristian Matsson è The tallest man on earth, anche se proprio così alto non è, come lui stesso ci dice dal palco. In fondo il nome che questo musicista svedese si è scelto per la sua avventura musicale è in qualche modo la sintesi del suo personaggio: infatti, che un ragazzo bassino e magrolino (per quanto dotato di una carica straordinaria) scelga di presentarsi al mondo come “l’uomo più alto della terra” non è una scelta ironica, è un’aspirazione che deriva da una profonda ambizione e da una tendenza fondamentalmente egocentrica.
E il concerto del 13 febbraio lo dimostra.
Arrivo al Quirinetta con grande anticipo, perché l’evento è andato sold out e mi aspetto una gran folla. Ho, come al solito, al seguito la mia macchina fotografica e arrivo in una sala concerti che ha un aspetto molto diverso dall’ultima volta, ossia dal concerto di Rachel Sermanni. Tutte le sedie sono state tolte e alle pareti sono comparse delle scritte molto modaiole. Anche il bar in fondo alla sala mi sembra non avere più quell’aria vintage che mi aveva tanto affascinato, bensì sembra un qualunque bancone di un bar alla moda.
Il Quirinetta è ospitato in un palazzo dallo stile liberty, cosicché l’atmosfera da cafè chantant così percepibile nell’allestimento iniziale della sala era perfettamente in armonia con il luogo. Perciò, questa volta mi sembra di entrare in un luogo che ha perso – magari momentaneamente – la sua identità.
Mi posiziono quasi in prima fila, separata dal palco da un cordone che lascia davanti lo spazio per i fotografi. Niente di nuovo, mi dico. I fotografi accreditati cominciano ad arrivare numerosi – evidentemente l’attesa per The tallest man on earth è tanta – e nel frattempo sale sul palco un altro cantante svedese, Markus Svensson, che curerà - con il suo songwriting - l’apertura del concerto. Questo ragazzo biondo con i capelli lunghi e il cappello a tesa larga cerca di conquistare l’attenzione del pubblico che nel frattempo sta riempiendo la sala, e direi che parzialmente ci riesce. Io tiro fuori la mia macchina fotografica e nonostante la muraglia umana dei fotografi accreditati provo a fare qualche fotografia; ma immediatamente il personale di sicurezza mi comunica che non si possono scattare foto con le macchine fotografiche, ma solo con i cellulari. Inizialmente penso che sia una presunta questione di qualità dell’immagine e così – infastidita – faccio chiamare il responsabile, che poi è un ragazzetto più giovane di me, che mi dice che è una richiesta del cantante. La cosa non mi è nuova, mi era capitata anche a un concerto di Mark Kozelek e recentemente a quello dei Kings of Convenience. In entrambi questi casi però non c’erano i fotografi ufficiali e soprattutto il tipo di concerto – fortemente intimista e acustico – poteva giustificare la scelta; per di più nel caso dei KoC, la gestione della cosa era diventata da parte dei cantanti un’occasione di gioco con il pubblico e la loro maniera di chiedere qualche pausa nelle fotografie era stata così delicata e affettuosa che lo avevamo fatto tutti con piacere.
In questo caso, invece, accade che arriva sul palco The tallest man on earth, e per le prime tre canzoni la muraglia umana dei fotografi accreditati scatta senza tregua, poi vengono tutti mandati via, e lo stesso cantante chiede al personale di non far fotografare chi ha una macchina fotografica, mentre i cellulari sono ammessi.
Il concerto tra l’altro non è certo intimista: a parte qualche canzone in cui Kristian si esibisce sul palco da solo con la sua chitarra, per il resto la scaletta prevede una serie di canzoni che consentono al pubblico di scaldarsi, cantando e battendo le mani, e a Kristian di scatenarsi sul palco, con i suoi balletti e contorsionismi con la chitarra, nonché con il suo atteggiamento seduttivo verso il pubblico, che via via prende però una dimensione quasi sadomaso. The tallest man on earth ringrazia spesso per l’ascolto, ma più volte chiede il silenzio, non sembra gradire il fatto che il pubblico canti con lui e talvolta dà chiari segnali di non volere i battiti di mano ritmati del pubblico, cosicché anche nel pubblico c’è chi cerca di accondiscendere e chi si infastidisce un po’.
Dello stesso genere è il rapporto di Kristian con la sua band (Mike Noyce alla chitarra e violino, Matthew Ryan al basso, Zach Hanson alla batteria, e Ben Lester alle tastiere e sintetizzatore). I quattro – bravissimi – restano sempre sullo sfondo, quasi in ombra, quasi impauriti di rubare la scena all’istrionico Kristian che si comporta da vera prima donna.
The tallest man on earth è certamente uno straordinario animale da palcoscenico e il suo sguardo tra il seduttivo e l’invasato - con cui fissa negli occhi il pubblico - lo dimostra; certamente è uno di quei cantanti che dal vivo danno il loro meglio e che tirano fuori dalla loro musica ciò che nell’ascolto registrato non sempre emerge. Capisco così anche perché ha così tanto seguito e sono impressionata dal fatto che il pubblico in sala lo conosce al punto non solo di poter cantare insieme a lui quasi tutte le canzoni, ma anche di poter contestare la scaletta.
A me personalmente però – pur apprezzando l’esibizione e le qualità del cantante e del musicista – il tutto rimane un po’ estraneo, e la poca simpatia che mi suscita il personaggio mi impedisce di entrarci in sintonia, cosicché anche le sue canzoni – in questa versione live rispetto a quanto avevo ascoltato – mi paiono strizzare troppo l’occhiolino al pop più facile e orecchiabile e perdono un po’ di quella “scontrosità” che invece emerge nel registrato.
Voto: 3/5
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