È la sera della prima di The pride, testo teatrale a tematica gay scritto da Alexi Kaye Campbell e portato in scena con la regia di Luca Zingaretti, al Teatro Argentina di Roma.
Il foyer è pieno di volti noti, da Nicola Zingaretti a Stefano Rodotà, da Marino Sinibaldi a Giuseppe Laterza. Il teatro è quasi al completo, noi siamo nella cosiddetta "piccionaia" dove fa un caldo infernale ma si sente e si vede benissimo.
Innanzitutto, bisogna riconoscere e premiare il coraggio di Luca Zingaretti nel portare sul palco dei teatri italiani un testo così esplicito e diretto sulla tematica omosessuale, mettendoci personalmente la faccia come attore insieme al bravissimo Maurizio Lombardi e alla brava Valeria Milillo.
Il testo è molto ben costruito dal punto di vista narrativo e si sviluppa in un crescendo che tiene incollati alla sedia, alternando ironia e dramma con maestria.
Si tratta di due storie parallele che si svolgono a molti anni di distanza, sempre a Londra.
I protagonisti si chiamano nello stesso modo, anche se le geometrie sono variabili.
Nella Londra del 1958 Philip è sposato con Sylvia, che fa l'illustratrice di libri per ragazzi. Oliver è lo scrittore il cui libro Sylvia sta illustrando. Una sera Sylvia invita a cena Oliver per farlo conoscere a suo marito. Da qui, l'inizio di un percorso che cambierà tutti e tre questi personaggi mettendoli di fronte alla verità ineluttabile dell'omosessualità di Philip e ai sentimenti contrastanti degli altri due di fronte alla sua difficoltà di accettare questa condizione infamante per l'epoca.
Nella Londra del 2015 Philip e Oliver sono stati insieme per un anno e mezzo, ma ora si sono lasciati perché Philip non accetta le scorribande di Oliver alla ricerca di sesso anonimo. Sylvia è la loro migliore amica, paladina dei diritti gay, e impegnata a far riappacificare i due uomini.
Le due storie hanno un andamento parallelo e sulla scena si alternano gli Oliver, Philip e Sylvia del passato e quelli del presente, in un rincorrersi di sentimenti, situazioni, problematiche che si colorano diversamente in virtù del tempo trascorso.
La storia nel suo complesso non si può dire realmente originale, ma è certamente congegnata in maniera eccellente; la vicenda del passato è quella dotata di maggiore drammaticità e pathos, cui si contrappone una - almeno apparente - leggerezza della storia del presente. Philip e Oliver ai nostri giorni non si vergognano di quello che sono e dei sentimenti che hanno l'uno per altro, e la società intorno a loro - in modi diversi a seconda delle persone - li ha riconosciuti e gli sta a fianco nelle lotte per i diritti.
La storia più contemporanea è però secondo me quella più dirompente e coraggiosa, quella in cui lo sceneggiatore ha osato di più. Nella vicenda di Philip e Oliver risulta infatti chiaro al pubblico che il problema centrale non è la lotta per diritti ancora non acquisiti del tutto, bensì la ricerca quotidiana di un equilibrio che scavalca tutti i modelli e che oggi - come nel 1958 - rende questa coppia omosessuale fuori dagli schemi e in parte inaccettabile. Oliver non può fare a meno degli incontri nel parco con gli sconosciuti, ricerca appuntamenti su Internet per giochi sessuali; nondimeno ama Philip e vuole avere una storia stabile con lui.
Seppure sottotraccia, Campbell ci mette davanti un percorso destabilizzante e poco pacificante: nel 1958 i gay erano fortemente discriminati e sottoposti a cure per tornare alla normalità, vittime di condizionamenti psicologici pesanti, costretti a cercare di nascosto incontri nei parchi; nel 2015 i gay vogliono vivere la propria vita a tutto tondo e secondo i propri modelli, che in alcuni casi non trovano risposta negli schemi sociali classici (che pure gli sono in buona parte spesso negati), bensì in equilibri di coppia nuovi e tutti da verificare giorno per giorno all'interno della coppia stessa. Un balzo in avanti che appare sorprendente, soprattutto quando rivolto al pubblico italiano.
Belle le scenografie, belle le musiche, bravi gli attori. Una menzione speciale per Maurizio Lombardi che forse a qualcuno sarà sembrato a tratti un po' macchiettistico, ma che invece io ho trovato profondo e vero sia nella versione degli anni Cinquanta sia in quella contemporanea.
Voto: 3,5/5
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