Quelli della Pixar, anche dopo essere stati assorbiti dal gigante Disney, continuano ad essere tra i creatori più originali nel settore dei film di animazione, sebbene di tanto in tanto perdano qualche colpo e non sempre dimostrino di essere all'altezza delle aspettative, di fronte a un mercato cinematografico che costringe a sfornare film in continuazione e che anticipa troppi contenuti attraverso trailer e teaser proposti per mesi prima dell'uscita del film.
Nel caso di Inside out l'idea di fondo è brillante: raccontare un anno della vita di una bambina undicenne, Riley, facendone protagonista non veramente lei, bensì le emozioni che la governano dall'interno della sua psiche: gioia, tristezza, rabbia, paura, disgusto, rappresentate sotto forma di ominidi variamente caratterizzati.
Gioia è una ragazza magra con i capelli corti in cui prevalgono i toni solari del giallo, Tristezza è una ragazza occhialuta e sovrappeso in cui dominano le tonalità del blu, Disgusto è ancora una donna, molto puntuta, che prende i colori del verde, Paura è un omino filiforme di colore viola, Rabbia è un uomo basso e tozzo di colore rosso, che esplode in fiamma nei momenti topici.
I cinque, dal loro quartier generale ultratecnologico collocato nella mente di Riley, governano tutti i processi che presiedono all'archiviazione dei ricordi e alla costruzione della personalità, quest'ultima incentrata per la bambina undicenne su cinque pilastri: la famiglia, l'amicizia, l'onestà, lo sport e la "stupidera", ossia la componente giocosa e infantile di Riley (cosa quest'ultima che ho trovato tenerissima e verissima).
A un certo punto Gioia e Tristezza finiscono per errore nel labirinto dei ricordi, in un momento molto delicato della vita della bambina, ossia quando lei deve affrontare il trasloco in una nuova città, quindi una nuova casa, una nuova scuola, nuovi amici. Cosicché le due emozioni perdute dovranno trovare la strada - attraverso conscio e subconscio – per tornare al quartier generale e riprendere in mano la situazione.
In questo percorso, Riley passerà dall'infanzia, governata prevalentemente dalla gioia, all'adolescenza, l'età della vita nella quale si scopre la tristezza ma si capisce anche che la tristezza è in qualche modo funzionale alla gioia e non va demonizzata a tutti i costi. Quell'adolescenza che deve accettare la distruzione dei capisaldi su cui è costruita l'infanzia per consentire la nascita di una personalità nuova e più complessa.
Mio nipote P. mi fa notare che il film racconta questo passaggio anche attraverso il confronto visivo tra le emozioni di Riley e quelle degli altri personaggi, lì dove ci vengono mostrate. Mentre ad esempio in Riley l'emozione guida è la gioia, negli adulti spesso l'emozione dominante è un'altra, ad esempio la rabbia nel caso del padre o la tristezza nel caso della madre; inoltre negli adulti le emozioni sono più uniformi nell'aspetto e hanno una identità di genere più chiara, oltre a risultare complessivamente meno radicali e anarchiche nelle reazioni. Inevitabile però la fastidiosa impressione che la psiche degli adulti – che in teoria dovrebbe essere molto più complessa – sia tendenzialmente standardizzata e omogenea.
Perché certo è vero che tutti ricordiamo un'età della vita nella quale le emozioni prendevano il sopravvento in maniera disordinata e incontrollabile, ma fosse vero che poi in età adulta le cose si semplificano!
Il film alterna momenti esilaranti – si veda ad esempio la conversazione a tavola tra madre, padre e figlia, attraverso il punto di vista delle emozioni di tutti – a momenti molto commoventi, come quello in cui l'amico d'infanzia immaginario di Riley, Bing Bong, accetta di finire nel dimenticatoio per consentire a Gioia di tornare alla sua postazione e a Riley di crescere.
Personalmente, di fronte a un film quasi interamente incentrato sulle emozioni di Riley e sul viaggio di Gioia e Tristezza per tornare al quartier generale, avrei forse preferito maggiormente una interazione tra le emozioni dei diversi personaggi, che forse avrebbe reso più vivace e interessante la narrazione.
Alcune trovate, per esempio i motivetti pubblicitari che si installano nella mente e vengono richiamati quasi involontariamente, ovvero la fabbrica che produce i sogni notturni, sono strepitosi.
Resta però alla fine la sensazione di un film in cui gli autori sono stati talmente attenti a una qualche verosimiglianza scientifica di quanto raccontato da perdere a tratti un po' di spontaneità e di profondità emotiva.
Non griderei dunque al capolavoro, come ho letto in giro. Ma certo in un panorama di film per bambini che appare sempre più piatto Inside out rappresenta certamente una bella boccata di ossigeno.
E poi scusate, ma dove sono finiti i bellissimi corti che introducevano i film Pixar? Perché questo Lava mi è sembrato davvero un pochino "loffio"... :-((
Voto: 3,5/5
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