La genialità di questo film è in buona parte racchiusa nel suo antefatto: una famiglia svedese (padre, madre e due figli: una femmina e un maschio) è in vacanza in montagna. Mentre mangiano sulla terrazza di un ristorante, dalla montagna di fronte viene giù una valanga che sembra stare per travolgerli. Il padre Tomas (Johannes Kuhnke) fugge, la madre Ebba (Lisa Loven Kongsli) resta lì a proteggere i figli. La valanga - che in realtà si ferma senza provocare danni a nessuno - ha conseguenze devastati sugli equilibri di questa famiglia.
Tomas e Ebba fanno prima finta di niente, ma la tensione cresce progressivamente fino a quando il dramma esplode di fronte a terzi. Tomas inizialmente nega, poi crolla e va in crisi. Ebba non riesce ad accettare il comportamento del marito, né nella fase di negazione né in quella successiva di debolezza.
Così, a poco a poco, tutte le certezze su cui il rapporto di coppia era fondato vengono smontate e ciò accade non solo per Tomas ed Ebba, ma anche per gli altri ospiti con cui i due fanno amicizia, chiacchierano e raccontano quanto gli è accaduto. I ruoli nei quali ognuno dei protagonisti è incasellato, in particolare rispetto al binomio uomo/donna (ma anche rispetto alle dinamiche generazionali), vengono messi in crisi e devono fare i conti con un radicamento degli stereotipi (di genere in particolare), la cui influenza si esercita sia sull'immagine che gli altri hanno di noi sia su quella che noi abbiamo di noi stessi.
Il dramma di Tomas è riconoscersi debole agli occhi della moglie, non rispettare il patto implicito tra uomo e donna, secondo il quale è il primo a dover essere coraggioso e in grado di affrontare ogni avversità e prendersi cura dei suoi cari. La tragedia di Ebba è non avere più fiducia di suo marito al punto da allontanarsene emotivamente, nel momento in cui lui tradisce il patto di cui sopra, e poi riaccoglierlo solo dopo aver sottoposto a verifica tale ruolo.
Tutt’intorno una natura che in qualche modo vive una vita parallela a quella dei protagonisti, maestosa e spaventosa, ma anche pacifica nel suo ripetersi e perfettamente addomesticata agli usi degli uomini, anche quando Tomas e l’amico Mats (Kristofer Hivju) vanno a sciare fuori pista, almeno fino a quando il guizzo che dà l’avvio alla valanga non ne mostra il volto oscuro e imprevedibile.
In un certo senso, tutto il film di Ruben Östlund è costruito su un duplice binario/registro: la scenografia, il percorso narrativo dei protagonisti, ma anche la musica (a volte drammatica, a volte irridente), nonché la sceneggiatura che alterna toni drammatici e ironici.
Certo, talvolta i dialoghi si fanno sfiancanti e quasi surreali. Alcuni inserti narrativi lasciano perplessi lì per lì, ma nella rilettura mentale acquistano progressivamente di senso stimolando la riflessione e il dibattito tra gli spettatori, perché le letture possibili dell’evoluzione del rapporto tra Tomas e Ebba sono molteplici.
Nel mentre che lo si guarda il film fa pensare a una polpetta svedese (di quelle tipo Ikea) che - pur essendo buone - risultano alfine indigeste, ma dopo essere usciti dal cinema si deve ammettere che il regista ha fatto centro.
Voto: 3,5/5
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