Quello che parrebbe essere l'ultimo film di Hayao Miyazaki (speriamo di no!) è forse il più adulto e giapponese tra i numerosi del maestro.
Adulto non perché i precedenti fossero film per bambini (anzi!), ma perché questo ha il ritmo e la struttura narrativa di un vero melodramma (per quanto animato) e gli inserti che potrebbero catturare la curiosità di un bambino mi paiono davvero pochi (oltre al fatto che il film dura più di due ore!).
Giapponese perché è ambientato in un'epoca storica importante per il Giappone (gli anni '20, segnati dal forte terremoto che distrusse la città di Tokio e della recessione economica prima del rilancio industriale del paese) e perché è profondamente intriso della cultura e dei valori giapponesi (una fortissima etica del lavoro, la dignità personale, la levità dei rapporti interpersonali, il rispetto verso gli altri).
Complessivamente il film sembra distaccarsi dai suoi precedenti, per quanto non manchino al suo interno i temi cari al regista e che attraversano tutta la sua produzione: la potenza della natura, la vocazione umana all'autodistruzione, il sogno. Volendolo collocare, personalmente lo definirei come il punto di incontro tra il melodramma de Il mio vicino Totoro e il desiderio di libertà e avventura di Porco rosso (quest'ultimo - tra l'altro - anch'esso pervaso dalla grande passione di Miyazaki per aerei e macchine volanti).
Jiro Horikoshi, il protagonista nonché alter ego di Miyazaki, è affascinato dagli aerei. Fin dall'infanzia il suo sogno è progettarli e questo sogno sarà portato avanti con straordinaria dedizione fino all'età adulta, quando - lavorando presso l'azienda Mitsubishi - progetterà e farà realizzare un aereo innovativo, leggero e veloce, che - suo malgrado - sarà utilizzato come aereo militare per i kamikaze. Nel mentre Jiro si innamora e sposa una giovane ragazza di Tokio, dal destino sfortunato.
Dal mio punto di vista, il film si nutre di contraddizioni. Da un lato, la costanza e la pervicacia con cui Jiro persegue ostinatamente la realizzazione del proprio sogno, dall'altro l'incostanza e la fuggevolezza del vento che spinge a non lasciarsi sfuggire il momento ("Le vent se lève; il faut tenter de vivre" è il mantra - tratto da Paul Valéry - che accompagna l'intera storia).
Da un lato il processo creativo messo a servizio della bellezza e dell'evoluzione umana, dall'altro l'uso distorto dei mezzi e lo stravolgimento delle relative finalità.
Da un lato la vitalità straordinaria con cui Jiro affronta le sfide e le difficoltà della vita per mettere a frutto quel "decennio" nel quale dare il suo contributo e lasciare il segno, dall'altro la malinconia di un destino che va al di là della nostra volontà.
So che è piuttosto scontato, ma Si alza il vento assomiglia un po' a un testamento, che fa risplendere ancora di più tutte le straordinarie perle che Miyazaki ci ha regalato durante la sua carriera.
Voto: 3,5/5
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