lunedì 2 dicembre 2013

Venere in pelliccia


Mai come per questo film, uscita dal cinema, non avrei saputo dire se mi fosse piaciuto o meno. Mai come in questo caso la mia mente non riusciva ad articolare una riflessione strutturata su quanto avevo appena visto.

Non posso dire di essermi annoiata durante la visione, né di non aver apprezzato la schermaglia verbale ed emotiva che sta al centro del racconto, ma mi sembrava di essermi fermata alla superficie, di non essere stata in grado di squarciare il velo di una lettura più complessa.

L’aspetto del film che fin da subito mi ha colpito è stato l’intrecciarsi di numerosi piani narrativi e interpretativi, il gioco delle scatole cinesi nel quale il regista ci cattura, la meta-narrazione che a volte lo diventa al quadrato, se non addirittura al cubo.

Nel film un regista (Mathieu Amalric) – in una giornata di pioggia e temporale, in una città deserta, in un teatro fuori dal tempo - sta facendo le audizioni per il suo spettacolo teatrale, appunto La Venere in pelliccia, riadattando il testo del romanzo omonimo di Leopold von Sacher-Masoch pubblicato alla fine dell’Ottocento. Mentre sta andando via arriva un’aspirante attrice, Vanda (Emmanuelle Seigner), che insiste per poter fare l’audizione fino a convincere il regista e a trascinarlo in un gioco di seduzione nel quale i ruoli si invertono, le parti si scambiano in un crescendo di surreale che raggiunge il suo apice nella scena finale.

Da un lato c’è dunque il testo di von Sacher-Masoch, dall’altro l’adattamento teatrale del regista, il tutto racchiuso nella finzione cinematografica che a sua volta non può che portare con sé molti rimandi alla realtà, visto che Emmanuelle Seigner nella vita è la moglie di Polanski ed è difficile non vedere in Mathieu Amalrich l’alter ego del regista.

Eppure questo gioco delle scatole cinesi non è tutto e non basta a cogliere tutti i piani narrativi che Polanski costruisce, né spiega tutti gli indizi che il regista sembra disseminare per tutto il testo.

E così, 24 ore dopo la visione del film, grazie a una delle felici intuizioni di S., improvvisamente il disegno del regista mi si chiarisce e il personaggio di Vanda, che certamente resta l’elemento più sfuggente ed inafferrabile del film, trova finalmente una sua dimensione.

Vanda non è un personaggio reale, né mai lo appare – a ben guardare - durante tutto il film, visto che sembra sempre recitare e portare in scena molti personaggi diversi. Vanda è l’incarnazione della dea, è proprio lei, Venere in pelliccia, la materializzazione del femminile, scesa sul palco di questo teatro per mettere alla prova il povero regista, per dare una dimostrazione del potere femminile e mostrare al mondo quanto il maschile può essere inerme di fronte alle sue mille incarnazioni.

Vanda/Venere, che inizialmente finge di essere un personaggio del tutto inadeguato e sopra le righe, dimostra a poco a poco di avere mille strumenti (la sua borsa è una specie di straordinaria cassetta degli attrezzi) e mille capacità, che ribalteranno completamente l’impressione iniziale.

E' la personificazione dell’amore femminile che entra rumorosamente ma apparentemente in maniera innocua nella vita del regista, ma presto occupa il palcoscenico e lo rende suo schiavo, plasmandolo a proprio piacimento fino a farlo assomigliare a sé e a prendersi la sua stessa anima.
E tutto questo ha molto a che vedere anche con la storia personale di Roman Polanski.

Cosicché il cerchio si chiude.

Voto: 3,5/5

2 commenti:

  1. Sono rimasta assolutamente colpita dalla tua capacità d'analisi di questo film, le tue impressioni iniziali sono state simili alle mie, anch'io mi sono domandata se consigliarne o meno la visione. Non c'è niente da aggiungere a quello che hai detto. Leggendoti mi è sembrato di rivedere il film e ho ritrovato alcuni particolari che avevo visto senza guardare.
    Ti considero un'ottima critica cinematografica.

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    1. Grazie mille, Gloria! Il tuo commento mi lusinga e mi fa molto piacere. Mi stimoli a continuare a coltivare questo hobby!

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