mercoledì 16 gennaio 2013
La regola del silenzio - The company you keep
Nel mio personale sistema di classificazione, iI film di Robert Redford appartiene ai cosiddetti film-palloncino. Si tratta di quei film a metà strada tra il poliziesco, il film d’azione e il thriller che creano nello spettatore un aspettativa crescente fino a quando a una mezz’oretta dalla fine ci si rassegna definitivamente al fatto che non sia accaduto e non accadrà niente di veramente sconvolgente o straordinario. Insomma, il palloncino si gonfia, ma anziché volare via si sgonfia all’improvviso!
La regola del silenzio (che, come al solito, sarebbe stato meglio lasciare con il suo titolo originale, The company you keep) è la storia di un giovane giornalista dell’Albany Sun Times, Ben Shepard (interpretato da Shia LaBeouf), che è intenzionato a scoprire la verità che sta dietro i Wheather Underground, un gruppo che, negli anni della guerra del Vietnam, aveva organizzato alcune azioni terroristiche negli Stati Uniti per protestare contro la guerra.
Dopo l’arresto di una delle componenti del gruppo (Susan Sarandon), da tempo latitante, Ben si mette sulle tracce di Jim Grant (Robert Redford), fino a quando arriverà a conoscere non solo i componenti del gruppo, ma anche la loro vera storia e le relazioni tra di loro.
In realtà, come dicevo, non c’è molto di eclatante da scoprire e i cosiddetti colpi di scena si capiscono ben prima che lo diventino.
Ciò detto, non v’è dubbio che la visione del film ci permette di fare un vero e proprio salto indietro nel tempo, non solo per i molti volti noti - ma ormai invecchiati - che lo popolano (oltre ai già citati, Nick Nolte, Julie Christie e Richard Jenkins), ma anche per l’impianto e il ritmo della storia. Oggi un film dello stesso genere avrebbe avuto non solo una costruzione molto più ingarbugliata (con flashback di ogni tipo) ma anche un ritmo da videoclip, cose queste che sono completamente assenti da La regola del silenzio, film lineare e dal ritmo contenuto.
È probabile che Robert Redford – oltre ad aver voluto perseguire il proprio stile cinematografico e approfondire un tema che gli è caro, ossia la ricerca della verità, – abbia voluto rendere omaggio all’amico, nonché grande regista di film di genere Sidney Pollack, scomparso nel 2008. Questo spiegherebbe lo stile e l’andamento un po’ retrò del film, e me lo rende più simpatico.
In ogni caso, quando arrivano i titoli di coda non posso fare a meno di pensare che non mi sarei persa molto se avessi visto il film in DVD in una serata di stanchezza, sdraiata sul divano.
Voto: 2,5/5
Un film ben fatto, solido ma che effettivamente non è molto più di questo. I colpi di scena sono abbastanza prevedibili e condivido la tua opinione che sarebbe meglio per una serata DVD che per il cinema... vabbè, Redford è scusabile comunque perchè il suo lavoro lo sa fare ancora bene!
RispondiEliminaA me Redford è sempre piaciuto... Quindi lo scuso certamente anch'io. Approfitto per chiederti: Cloud Atlas me lo consigli? :-)
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