Villetta con piscina / Herman Koch; trad. di Giorgio Testa. Vicenza: Neri Pozza, 2011.
M., il mio amico olandese, voleva farmi leggere il successo internazionale del suo connazionale, Herman Koch, intitolato La cena, ma la libreria sotto casa aveva soltanto l'altro romanzo di Koch, Villetta con piscina, quello di cui tutti parlano per differenza con La cena...
Dopo averlo iniziato mesi fa senza riuscire ad andare avanti causa stanchezza da lavoro, finalmente - nella mia prima settimana di vacanza - riesco a dare il via vero alla lettura. E così nel giro di pochi giorni finisco il libro.
Che dire? Innanzitutto non leggete i risvolti di copertina dell'edizione di Neri Pozza perché - come si dice nel caso dei film - contiene una specie di spoilers (cioè rovina la sorpresa perché parla di avvenimenti che arrivano molto avanti nella lettura). Aggiungerò però che l'aspetto più interessante del libro non è l'intreccio giallo e il possibile svelamento del modo in cui si sono svolti i fatti, bensì la vita interiore del protagonista.
Il romanzo è narrato in prima persona da Marc Schlosser, un medico di famiglia, che ha una bella moglie e due figlie, una adolescente e una quasi adolescente. Il cuore del romanzo è la vacanza estiva della famiglia, che viene raccontata come una specie di lungo flashback che illumina i primi capitoli del libro.
Marc è un cinico e le prime cinquanta pagine del romanzo sono straordinarie nel gettare luce sui suoi pensieri politicamente del tutto scorretti. Marc non può risultarci simpatico e a più riprese nel corso della lettura il suo comportamento ci apparirà meschino e ripugnante, soprattutto per il compiacimento che lo caratterizza e per il modo sprezzante con cui si autogiustifica.
Eppure il gioco dello scrittore si realizza non nella demonizzazione del protagonista, che in qualche modo è vittima e a tratti ci suscita anche compassione, bensì nel rivelarci poco a poco che Marc non è un eccezione, altro da noi, deprecabile perché in qualche modo diverso dal nostro modo di pensare.
Marc siamo tutti noi. Qualunque lettore finirà infatti per riconoscersi in alcune forme del suo cinismo, in alcuni modi in cui Marc guarda al mondo e agli altri. E così emerge la distanza tra il nostro comportamento esteriore, dettato dalle regole e dalle necessità della convivenza civile, e il nostro mondo interiore che rivela la nostra natura originariamente belluina. Natura che Koch fa emergere anche attraverso una descrizione a volte macabra, altre volte disgustosa della corporeità e di tutte le sue manifestazioni più genuinamente fisiche.
Ed è forse lo scarto tra queste due dimensioni, che entrambe ci appartengono e che in qualche modo si allontanano sempre di più nel corso della vita e nel procedere della cosiddetta "evoluzione sociale", a determinare la ferocia sotterranea del mondo contemporaneo, quello che Koch tratteggia così spaventosamente bene.
Ho già messo in valigia La cena che a questo punto non può mancare nella mia seconda tranche di vacanze! ;-) (e nel tempo trascorso tra scrittura di questo post e sua pubblicazione l'ho terminato e spero di pubblicarne presto la recensione!)
Voto: 3,5/5
giovedì 30 agosto 2012
venerdì 10 agosto 2012
Carne / Marcello Fois; con Daniele Serra
Carne / Marcello Fois; con Daniele Serra. Parma: Guanda, 2012.
Sono andata a comprare questo graphic novel (tratto da un racconto di Marcello Fois e illustrato da Daniele Serra) alla Feltrinelli, anche se su Internet avrei risparmiato qualche euro, perché ho sentito dire che pure la Feltrinelli è in crisi e rischia di tagliare un po' di sedi. E mi è venuta un po' di tristezza per la sorte delle librerie, e tanto più per quella delle biblioteche :-(
E diciamo che solo per questo non mi pento dell'acquisto!
Per il resto la lettura di Carne mi ha lasciato un po' di amaro in bocca. Si tratta di un frammento di vita del commissario Carnevali, affettuosamente chiamato Carne dal collega Vitali (a sua volta chiamato Vita). Carnevali è un uomo ruvido che porta addosso i segni della propria personale discesa all'inferno. Il disegno molto sporco di Daniele Serra rende bene i tratti umani del protagonista e l'atmosfera melmosa nella quale si svolge la sua vita.
Questa volta per Carnevali le cose vanno peggio del solito. Allontanatosi dalla sorveglianza di un testimone per andare con una prostituta trova il suo testimone morto. Dovrà così a fronteggiare le ambiguità di Vitali (cui lo lega un rapporto di amore/odio) e la riprovazione del suo capo, nonché la telefonata della ex moglie che attende i soldi che gli spettano e l'incontro con la collega che spaccia droga per rifarsi le tette.
Quello di Carnevali è un mondo in cui non c'è un filo di grazia né alcuna leggerezza dei sentimenti. Tutto risulta appesantito e sembra impossibile sfuggire a una sensazione di contaminazione durante la lettura. Anche lo scioglimento nell'abbraccio e nelle lacrime finali non riesce a togliere quel senso di grevità che resta appiccicato addosso come il caldo umido di questa estate.
Diciamo che è capitato in un momento in cui avevo voglia di leggerezza e invece mi sono sentita schiacciata, quasi oppressa. Mi direte che i graphic novel quasi mai sono allegri, che la vena deprimente è particolarmente presente nelle corde dei fumettisti. E però, se talvolta il tratto disegnato o una qualche sotterranea ironia o autoironia consentono la catarsi finale, qui invece non c'è via di scampo.
Non certo un libro da portare in vacanza.
Voto: 2,5/5
Sono andata a comprare questo graphic novel (tratto da un racconto di Marcello Fois e illustrato da Daniele Serra) alla Feltrinelli, anche se su Internet avrei risparmiato qualche euro, perché ho sentito dire che pure la Feltrinelli è in crisi e rischia di tagliare un po' di sedi. E mi è venuta un po' di tristezza per la sorte delle librerie, e tanto più per quella delle biblioteche :-(
E diciamo che solo per questo non mi pento dell'acquisto!
Per il resto la lettura di Carne mi ha lasciato un po' di amaro in bocca. Si tratta di un frammento di vita del commissario Carnevali, affettuosamente chiamato Carne dal collega Vitali (a sua volta chiamato Vita). Carnevali è un uomo ruvido che porta addosso i segni della propria personale discesa all'inferno. Il disegno molto sporco di Daniele Serra rende bene i tratti umani del protagonista e l'atmosfera melmosa nella quale si svolge la sua vita.
Questa volta per Carnevali le cose vanno peggio del solito. Allontanatosi dalla sorveglianza di un testimone per andare con una prostituta trova il suo testimone morto. Dovrà così a fronteggiare le ambiguità di Vitali (cui lo lega un rapporto di amore/odio) e la riprovazione del suo capo, nonché la telefonata della ex moglie che attende i soldi che gli spettano e l'incontro con la collega che spaccia droga per rifarsi le tette.
Quello di Carnevali è un mondo in cui non c'è un filo di grazia né alcuna leggerezza dei sentimenti. Tutto risulta appesantito e sembra impossibile sfuggire a una sensazione di contaminazione durante la lettura. Anche lo scioglimento nell'abbraccio e nelle lacrime finali non riesce a togliere quel senso di grevità che resta appiccicato addosso come il caldo umido di questa estate.
Diciamo che è capitato in un momento in cui avevo voglia di leggerezza e invece mi sono sentita schiacciata, quasi oppressa. Mi direte che i graphic novel quasi mai sono allegri, che la vena deprimente è particolarmente presente nelle corde dei fumettisti. E però, se talvolta il tratto disegnato o una qualche sotterranea ironia o autoironia consentono la catarsi finale, qui invece non c'è via di scampo.
Non certo un libro da portare in vacanza.
Voto: 2,5/5
martedì 7 agosto 2012
Le strade di sabbia / Paco Roca
Ho comprato Le strade di sabbia lo stesso giorno in cui sono andata a vedere la versione cinematografica di Rughe, che avevo letto e che è considerato il capolavoro del talento spagnolo del fumetto, Paco Roca.
Lo stile pulito di Paco Roca mi affascina molto. Le sue tavole sono nitide ed estremamente descrittive anche lì dove rappresentano l'indescrivibile. E in qualche modo questa caratteristica viene portata alla sua massima espressione in Le strade di sabbia.
In questo albo infatti Paco Roca racconta una specie di storia impossibile; il protagonista, in ritardo per un appuntamento con la sua fidanzata, decide di prendere la scorciatoia attraverso il quartiere antico della città, ma si troverà in una sorta di labirinto dal quale risulterà impossibile uscire.
In questo mondo del tutto autoreferenziale incontrerà una serie di buffi personaggi, ciascuno paralizzato dalle proprie idiosincrasie: la ragazza che non parla e trasforma tutti i suoi pensieri in lettere che consegna agli altri, il vecchietto che vuole partire ma controlla all'infinito le cose che deve portare con sé, la receptionist che battibecca sistematicamente con l'operaio che deve sistemare la caldaia (e che è più o meno segretamente innamorato di lei), il cartografo che realizza mappe 1:1, l'uomo che vive nella bara in attesa della morte, l'immortale che si circonda di propri ritratti ma non può guardarsi nello specchio.
Quello di Paco Roca è un progetto ambizioso e certamente molto accattivante. Una riflessione che vorrebbe essere molto articolata sulla vita umana e sulla relatività del tempo, piena zeppa di citazioni colte di vario genere.
Alcuni passaggi sono particolarmente intriganti, misteriosi al punto giusto per suscitare pensieri e aprire la mente verso considerazioni più ampie.
Quello di Paco Roca resta però anche un progetto incompiuto, forse proprio perché troppo ambizioso. Bisogna dare merito a Roca di non aver avuto paura di osare, e questa è la forza dei grandi. Bisogna anche dargli merito di aver voluto cambiare completamente registro rispetto al suo grande successo, per non rimanere intrappolato in quello.
Mi sa che questo ragazzo riserverà in futuro moltissime sorprese.
Voto: 3/5
giovedì 2 agosto 2012
The amazing spiderman
In una caldissima sera d'estate non ho saputo resistere alla tentazione di andare a vedere l'ennesima trasposizione cinematografica di Spiderman in una sala cinematografica dove c'è stato bisogno del maglioncino per non morire congelati dall'aria condizionata.
Devo ammettere di non poter vantare una conoscenza filologica del fumetto della Marvel, dunque il mio giudizio non riguarderà minimamente la correttezza della lettura cinematografica rispetto al fumetto nei caratteri dei personaggi e nella storia, ma solo la resa cinematografica.
Le origini del personaggio dovrebbero essere ormai note a tutti: Peter Parker viene affidato da bambino agli zii mentre i genitori sono costretti alla fuga per motivi inizialmente non chiari. Il giovane Peter (Andrew Garfield) trascorre una vita normale, tra il bullismo dei suoi compagni di scuola, l'innamoramento segreto per la compagna di scuola Gwen Stacy (Emma Stone) e l'affetto dei suoi zii. Tutto fino a quando durante una visita al laboratorio della Oscorp viene punto da un ragno e acquista quelle capacità e quei poteri che ne faranno l'uomo ragno.
La morte dello zio e la scoperta dei segreti che avevano portato alla fuga dei genitori lo convincono ad accettare la responsabilità che la nuova condizione gli offre, fino a trovarsi di fronte al lucertolone Lizard, risultato di esperimenti genetici condotti su se stesso dallo scienziato Connors (Rhys Ifans), che aveva lavorato insieme al padre di Peter.
Insomma, tutto torna...
Però, per quanto mi riguarda il confronto con la serie cinematografica precedente, quella per la regia di Sam Raimi, è inevitabile. E il risultato di questo confronto mi vede molto favorevole al nuovo protagonista: Andrew Garfield ha la faccia più scanzonata, simpatica ed espressiva rispetto a Tobey Maguire, che ogni tanto fa proprio pesce lesso.
Invece voto decisamente Kirsten Dunst rispetto a Emma Stone nei panni dell'innamorata di Spiderman, quest'ultima troppo ragazzona americana un po' effetto silicone per poter essere davvero credibile.
Sul piano della resa complessiva ho preferito di gran lunga il primo film della serie di Raimi, capace di costruire delle atmosfere più coinvolgenti e credibili (nonostante si tratti di un fumetto) e di giocare ironicamente con le semplificazioni che un personaggio di questo genere implica.
Certo, sono passati ormai dieci anni dal primo film di Raimi e dunque sul piano tecnologico e della qualità cinematografica il salto si vede (anche se io ho scelto il tradizionale 2D), però questo non è sufficiente al film di Marc Webb per oscurare o far dimenticare la trilogia realizzata da Sam Raimi.
Capisco però che il mio può essere considerato un giudizio un po' da quarantenne nostalgica, sempre più affascinata dal vintage in ogni ambito. Anche al cinema.
Voto: 3/5
Devo ammettere di non poter vantare una conoscenza filologica del fumetto della Marvel, dunque il mio giudizio non riguarderà minimamente la correttezza della lettura cinematografica rispetto al fumetto nei caratteri dei personaggi e nella storia, ma solo la resa cinematografica.
Le origini del personaggio dovrebbero essere ormai note a tutti: Peter Parker viene affidato da bambino agli zii mentre i genitori sono costretti alla fuga per motivi inizialmente non chiari. Il giovane Peter (Andrew Garfield) trascorre una vita normale, tra il bullismo dei suoi compagni di scuola, l'innamoramento segreto per la compagna di scuola Gwen Stacy (Emma Stone) e l'affetto dei suoi zii. Tutto fino a quando durante una visita al laboratorio della Oscorp viene punto da un ragno e acquista quelle capacità e quei poteri che ne faranno l'uomo ragno.
La morte dello zio e la scoperta dei segreti che avevano portato alla fuga dei genitori lo convincono ad accettare la responsabilità che la nuova condizione gli offre, fino a trovarsi di fronte al lucertolone Lizard, risultato di esperimenti genetici condotti su se stesso dallo scienziato Connors (Rhys Ifans), che aveva lavorato insieme al padre di Peter.
Insomma, tutto torna...
Però, per quanto mi riguarda il confronto con la serie cinematografica precedente, quella per la regia di Sam Raimi, è inevitabile. E il risultato di questo confronto mi vede molto favorevole al nuovo protagonista: Andrew Garfield ha la faccia più scanzonata, simpatica ed espressiva rispetto a Tobey Maguire, che ogni tanto fa proprio pesce lesso.
Invece voto decisamente Kirsten Dunst rispetto a Emma Stone nei panni dell'innamorata di Spiderman, quest'ultima troppo ragazzona americana un po' effetto silicone per poter essere davvero credibile.
Sul piano della resa complessiva ho preferito di gran lunga il primo film della serie di Raimi, capace di costruire delle atmosfere più coinvolgenti e credibili (nonostante si tratti di un fumetto) e di giocare ironicamente con le semplificazioni che un personaggio di questo genere implica.
Certo, sono passati ormai dieci anni dal primo film di Raimi e dunque sul piano tecnologico e della qualità cinematografica il salto si vede (anche se io ho scelto il tradizionale 2D), però questo non è sufficiente al film di Marc Webb per oscurare o far dimenticare la trilogia realizzata da Sam Raimi.
Capisco però che il mio può essere considerato un giudizio un po' da quarantenne nostalgica, sempre più affascinata dal vintage in ogni ambito. Anche al cinema.
Voto: 3/5