Non so se il mio giudizio possa essere stato falsato dal fatto che prima di entrare al cinema ho messo il piede in fallo e sono caduta rovinosamente a terra, trasformando la solita caviglia destra in una piccola zampogna (o forse la caduta è il risultato di invidiose congiunture astrali); certo è che Albert Nobbs non mi è piaciuto, e a parziale giustificazione dirò che non è piaciuto neppure alla mia amica G. che pure ci era arrivata - al contrario mio - piena di speranze.
Si tratta della storia di Albert (Glenn Close), cameriere presso un lussuoso albergo di Dublino, che è in realtà una donna, cresciuta da una famiglia non sua, poi rimasta sola, quindi vittima di una violenza sessuale, infine costretta a fingersi uomo per poter lavorare e sopravvivere in un mondo difficile in cui non c'è spazio per le donne sole.
In realtà tutto questo viene raccontato in cinque minuti, visto che per il resto il film ci parla del tentativo di Albert di realizzare il suo sogno, ossia costruirsi una vita normale: comprare un negozio di tabacchi, sposare Hellen (Mia Wasikowska), una giovane cameriera che lavora nel suo stesso albergo, e vivere in serenità. Purtroppo le cose andranno diversamente.
Perché non andare a vedere questo film?
Innanzitutto perché è mostruosamente lento (e io sono una che ama i film lenti!). E la lentezza non è compensata né da un'evoluzione interiore del personaggio (chi ha parlato di fine analisi psicologica non so che film abbia visto) né da uno sviluppo narrativo apprezzabile.
La sceneggiatura sembra il risultato del tentativo di trasformare un racconto piuttosto stringato nei contenuti in un film che dura inutilmente due ore. Alcuni elementi della sceneggiatura (la febbre tifoide, la pulce che fa scoprire la vera identità di Albert, il ruolo di Hubert Page, la cecità di Albert di fronte all'atteggiamento di Hellen) o non vengono sviluppati oppure risultano poco significativi nell'interpretazione dell'insieme, in alcuni casi sono al limite dell'illogicità.
L'interpretazione di Glenn Close ha un picco straordinario nell'unico momento toccante del film, ossia quando Albert si veste da donna e, dopo l'imbarazzo iniziale - rappresentato, va detto, in modo mirabile -, corre libera sulla spiaggia facendo svolazzare il suo scialle. Per il resto, è evidente che l'ispirazione per Albert Nobbs arriva da Charlot, personaggio anche questo insieme tragico e involontariamente comico. Così come è evidente l'intento di rappresentare per sottrazione un personaggio sospeso, asessuato, congelato nei sentimenti, anche se la fissità dell'espressione di Nobbs a me è parsa financo eccessiva. Insomma, se per vincere un Oscar basta imbruttirsi e travestirsi allora l'Academy è diventata veramente incapace di valutare la capacità recitativa degli attori (e so di esprimere in questo caso un parere decisamente controcorrente)!
Infine, una storia come questa nel momento in cui manca qualunque approfondimento del contesto storico-sociale (ricostruito molto bene, ma che rimane decisamente a fare da sfondo) rischia di risultare inutile e monca, o comunque poco comprensibile, e quindi poco soddisfacente.
C'è una cosa invece che ho trovato molto divertente e azzeccata: il bimbo vestito alla marinara che si ferma interrogativo sia di fronte ad Albert che di fronte a Hubert (Janet McTeer), l'unico che - nella sua ingenuità - pare comprendere una verità che è evidentemente sotto gli occhi di tutti, ma nessuno sa vedere.
Voto: 2,5/5
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